Aveva annunciato che avrebbe fatto «pulizia dal virus della rivolta all’interno delle istituzioni dello Stato». All’indomani del fallito golpe, il presidente Erdogan ha scatenato una vera e propria caccia alle streghe, fatta di arresti e violenze contro i golpisti, veri o presunti. Obiettivo dell’accanimento del Governo turco sono stati i militari con oltre 6mila arresti, ma anche i giudici. In manette sono finiti 755 magistrati, di cui 48 magistrati del Consiglio di Stato e due giudici costituzionali, è stata ordinata la cattura di 140 consiglieri di Cassazione e oltre 2.700 sono stati sospesi o espulsi dal Consiglio superiore dei giudici e dei pubblici ministeri. Un’epurazione in piena regola, che ha scatenato le critiche di tutta la comunità internazionale, con in testa le associazioni professionali di giudici e avvocati d’Europa.«Non possiamo consentire che atti di ingiustizia sommaria come questi si compiano in un Pese che era candidato ad aderire all’Unione Europea. Valuteremo le iniziative da intraprendere come Consiglio superiore della magistratura d’intesa con la rete dei consigli giudiziari d’Europa, per ribadire l’irrinunciabilità dell’indipendenza della magistratura che costituisce uno dei capisaldi di ogni sistema democratico», ha commentato il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini. Ferma condanna è arrivata anche da parte dell’Associazione magistrati del Consiglio di Stato, che ha definito quello di Erdogan «un disegno di rimozione di una classe di magistrati e dell’indipendenza del potere giudiziario». L’Associazione nazionale magistrati, con una dura nota, ha chiesto l’intervento degli organi istituzionali italiani presso gli organismi internazionali, affinché venga con urgenza interrotta questa inaudita barbarie e ripristinato lo stato di diritto. «La Turchia è uno dei 47 Stati del Consiglio d’Europa e ne ha sottoscritto le convenzioni: l’annullamento della concreta indipendenza e dell’autonomia dei giudici è una plateale violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo».Anche il mondo dell’avvocatura ha espresso solidarietà, con il presidente del Consiglio nazionale forense Andrea Mascherin che ha condannato «ogni forma di intimidazione nei confronti della magistratura turca» e ha ricordato come da tempo le associazioni dell’avvocatura «denunciano arresti e trattamenti illegali nei confronti dei colleghi turchi da parte degli organi di potere». Il tentato golpe, infatti, ha inasprito i rapporti già molto tesi tra la galassia giudiziaria turca e il presidente Erdogan. Alla fine del 2015, la comunità internazionale si era mobilitata per denunciare l’omicidio “di stato” del presidente dell’ordine degli avvocati di Diyarbakir, nel sud-est del paese, ucciso in una sparatoria con le forze dell’ordine al termine di un incontro pubblico. La morte di Tahir Elci, che apparteneva alla minoranza curda, aveva scatenato manifestazioni di piazza a Istambul e scontri con la polizia. Pochi mesi fa, invece, nove avvocati appartenenti all’Associazione “Avvocati per la Libertà” sono stati arrestati durante una retata contro un gruppo sospettato di appartenere al partito curdo Pkk. Le autorità governative non avevano fornito alcuna informazione sulle motivazioni e la comunità internazionale ha denunciato l’arbitrarietà della misura cautelare e la violazione dei diritti di difesa, aggirati grazie alle ampie maglie della legislazione anti-terrorismo in Turchia.