Rems, salute mentale in carcere, 41 bis. Ne parliamo con Stefano Anastasia, tra i fondatori dell’associazione Antigone, da più di un anno garante dei detenuti della regione Lazio.

Da poco è stato attivato il servizio di Telemedicina rivolto alla popolazione detenuta del carcere di Regina Coeli e quello di Civitavecchia. È importante implementare l’offerta dell’assistenza sanitaria in carcere?

Si tratta di un servizio che era già stato avviato dall’ospedale romano San Giovanni in forma sperimentale, ma che poi si interruppe per un motivo logistico. Sono stati presi degli accorgimenti ed ora è stato riattivato. L’assistenza sanitaria in carcere è l’esigenza primaria che avvertono i detenuti. Trattandosi frequentemente di una popolazione che ha una storia di difficoltà e marginalità sociale, le difficoltà e le sofferenze in carcere sono molto più diffuse rispetto a quello che avviene nel mondo libero. Il problema enorme dei detenuti è che non possono provvedere da sé come fanno i cittadini normali, ovvero comprare le medicine e/ o farsi assistere da un ambulatorio medico. Il carcere in sé è patogeno, la detenzione aumenta lo stress psicologico. È motivo di ansia e depressione. Per questo la salute è la principale preoccupazione del mondo penitenziario.

Lei non parla solo di salute fisica, ma anche mentale. Si è interessato molto della situazione psichiatrica, in particolar modo dell’efficienza delle residenze per l’esecuzione misure di sicurezza sanitaria.

Ho visitato tutte e cinque le Rems della regione Lazio e ho una valutazione abbastanza positiva. Ovviamente chi conosce gli ex Opg, non può che apprezzare il passo avanti con la loro chiusura. Le Rems hanno certamente alcune difficoltà gestionali e, in alcuni casi, problemi riguardanti i diritti della dignità della persona come sollevato dalla recente relazione del comitato europeo per la prevenzione della tortura. Casi che però non riguardano le misure di sicurezza della regione Lazio. Le difficoltà maggiori, in realtà, sono fuori. Non si riescono a gestire tutte le complesse domande di assistenza psichiatrica e le Rems non possono far fronte a questo problema. Quest’ultime sono in overbooking. Per fare un esempio, nella regione Lazio ci sono 91 ospiti nelle Rems, mentre in lista d’attesa ci sono 40 persone. Qui nasce un problema. Una parte sono in libertà, un’altra invece è in carcere. Una situazione che ritengo inaccettabile perché a mio parere si può configurare come sequestro di persona. Non parliamo di persone raggiunte da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, ma di custodia presso le residenze sanitarie.

E qui parliamo di casi che possono sfociare in tragedia.

Sì, come il caso di Valerio Guerrieri. Un ragazzo di 22 anni che si è ammazzato durante la permanenza al carcere di Regina Coeli. Al di là di ogni valutazione circa il grave discorso dei suicidi che avvengono in carcere, lui lì non doveva starci. Da dieci giorni aveva un provvedimento di misura di sicurezza e non doveva stare a Regina Coeli. Ad oggi, solo in quel carcere, ci sono sei internati illegittimamente. Parliamo di persone che dovrebbero stare in una Rems, oppure in libertà nell’attesa che vengano liberati i posti. C’è una evidente disparità. Come mai alcune persone possono stare in libertà in lista d’attesa, mente altre vengono recluse in carcere?

Secondo lei, perché?

Prima di essere tradotte in una Rems, abbiamo delle persone in libertà e nell’attesa non commettono alcun reato. Quindi c’è un’eccessiva preoccupazione da parte della magistratura che ordina la restrizione in carcere. Inoltre, aggiungo, che il problema dell’overbooking delle Rems è dovuto al fatto che molto spesso la magistratura ricorre a misure cautelare di internamento verso quelle strutture, mentre nella realtà in alcuni casi si possono evitare. Ma questo è scaturito dal fatto che le misure di sicurezza non sono in strutture come gli Opg. Se prima, un magistrato, ci pensava due volte nell’utilizzare l’internamento in quelle strutture, oggi lo concede con più facilità visto che sono residenze non contenitive. In sintesi, non tutti i reati commessi da persone con patologie psichiatriche sono tali da giustificare l’internamento.

Qui subentra il ruolo dei dipartimenti di salute mentale.

Sì, qui c’è un altro grande problema. La riforma della legge Basaglia che ha abolito i manicomi si regge esattamente sul fatto che nel territorio esista una rete di servizi e presa in carico delle persone affette di patologie psichiatriche, comprese quelle che hanno commesso dei piccoli reati tali da non giustificare il ricorso al contenimento. Dovrebbero attivarsi di più. L’altro versante riguarda il sistema penitenziario. All’interno del carcere, il dipartimento di salute mentale deve cambiare modalità di azione rispetto al passato. Un tempo interveniva per trasferire i detenuti con patologie psichiatriche negli Opg, oggi, invece, deve prendere in carico i detenuti psichiatrici prescrivendo dei piani terapeutici e di sostegno. Come del resto fa il servizio per le dipendenze. Un modello, quest’ultimo, che dovrebbe essere esteso anche nei confronti della salute mentale in carcere.

A breve, secondo le parole del guardasigilli riferite durante un incontro con l’esponente del Partito Radicale Rita Bernardini e il giornalista Massimo Bordin, dovrebbero giungere a Pa- lazzo Chigi i decreti attuativi per la riforma dell’ordinamento penitenziario.

Intanto tra quei decreti dovrà essercene anche uno ad hoc riguardante la riforma delle misure di sicurezza, un aspetto molto importante proprio per quello che ci siamo detti. Se i decreti tengono fede alle indicazioni che sono maturate nell’ambito degli Stati generali dell’esecuzione penale, si tratterebbe di un passo in avanti molto importante nel senso della decarcerizzazione e delle garanzie dei detenuti. Detto ciò, non nascondo che non sarà facile visto che siamo a un passo da una campagna elettorale politica. Mi auguro che il ministro Orlando abbia il coraggio e la determinazione di tenere la barra dritta sulle idee che sono maturate durante gli stati generali. Visto che parliamo dei diritti delle persone condannate e quelle che si trovano sotto processo, rischia di diventare la pietra dello scandalo da parte delle campagne politiche forcaiole.

Lei è garante anche della regione Umbria, un recluso al 41 bis di Terni ha avuto la possibilità di ottenere un colloquio con lei senza restrizioni.

Sì, grazie all’esposto presentato dal recluso, il magistrato Fabio Gianfilippi ha stabilito che i detenuti possono fare un colloquio con i garanti in maniera riservata, senza vincoli e senza vetro divisorio. In sintesi, senza tutte quelle misure che vengono disposte quando un recluso nel carcere duro deve fare un colloquio con i propri famigliari. Però l’amministrazione penitenziaria si oppone e ha fatto ricorso, perché considera i colloqui svolti dalla figura istituzionale del garante uguale a quella dei familiari.