La dignità umana prima di tutto. Mentre il Dap, con l’ausilio dei sindacati di polizia penitenziaria, sta elaborando un “nuovo modello custodiale” in carcere, l’associazione Antigone ha inviato un suo contributo ai vertici dell’amministrazione penitenziaria affinché si metta al centro la Costituzione e i principi delle carte internazionali.

«È interesse di tutti che il carcere non sia una fabbrica di criminali, ma un luogo di legalità riproduttivo della vita ordinaria», si legge nel documento di Antigone. Sottolinea che la pena non deve mai tramutarsi in vendetta e che «il rispetto della dignità umana è la pre- condizione di ogni modello organizzativo della vita carceraria». Il miglior modo per valorizzare il difficile, faticoso e importante lavoro di coloro che hanno compiti di sorveglianza nelle carceri consiste – sempre secondo Antigone - nell’affrancarli da una logica meramente custodiale e costruire professionalità integrate, multi- tasking e capaci di affrontare situazioni complesse, con competenze sia operative e di sicurezza interna, ma anche psicologiche, sociali, educative, linguistiche. In questo modo il personale di Polizia penitenziaria «sarebbe ben più gratificato rispetto a opzioni meramente di sorveglianza statica, legata ad aperture e chiusure di celle», sottolinea Antigone nel documento.

Prima di tutto, Antigone chiede l’applicazione della cosiddetta “sorveglianza dinamica” in tutti gli istituti. Quest’ultima, legata al fatto che i detenuti devono stare il meno possibile dentro una cella, prevede un sistema più efficace per assicurare l'ordine all'interno degli istituti, senza ostacolare le attività trattamentali, fondato sulla semplificazione, la razionalizzazione, la qualificazione dei carichi di lavoro, la distinzione dei livelli di competenza, la condivisione dei flussi informativi tra le diverse figure professionali. Ciò presuppone un personale - non solo civile ma anche di Polizia, che ha la possibilità di trascorrere più tempo con i detenuti - attento, che interagisca in maniera positiva con i detenuti e li coinvolga in attività costruttive al fine di anticipare e prevenire i problemi prima che essi si presentino in forme talvolta drammatiche. L’interazione con i detenuti e lo sviluppo di un rapporto positivo aiuta il personale a conoscere i detenuti, le dinamiche dell’istituto e ne aumenta la consapevolezza di quanto avviene al suo interno. «In questa ottica – spiega Antigone -, il rapporto fra detenuti e operatori è basato sulla correttezza ed è orientato al raggiungimento di un senso di ben9essere tra i detenuti, i quali devono essere impegnati a svolgere attività costruttive e mirate che contribuiscano al loro futuro reinserimento nella società».

Ovviamente, come ribadisce Antigone, la vita in carcere – fuori dalle proprie celle – deve essere ricca di attività che abbiano un senso. Purtroppo non è così. I detenuti che lavorano ( 25,8% dei presenti alla fine del 2019) lo fanno in gran parte per l’Amministrazione penitenziaria, svolgendo prevalentemente attività assai poco professionalizzanti. Solo l’ 1,5% dei detenuti lavora in carcere per datori di lavoro esterni. Nei 98 istituti visitati da Antigone nel 2019, solo il 6,2% dei detenuti era stato coinvolto in percorsi di formazione professionale e in 34 ( il 35%) degli istituti visitati non si era svolto alcun corso. C’è anche il discorso delle attività per promuovere il benessere fisico come prevedono le regole europee penitenziarie. Ma nel 34,7% delle carceri visitate da Antigone nel 2019 non a tutti i detenuti era garantito l’accesso ad una palestra almeno una volta alla settimana mentre nel 30,6% dei casi non tutti avevano accesso almeno una volta alla settimana ad un campo sportivo.

L’altro punto dolente che Antigone evidenzia nel documento inviato al Dap riguarda i provvedimenti disciplinari come i trasferimenti e l’isolamento. Secondo l’associazione «il carcere non si governa con la mera disciplina ma con la ragionevolezza, con il dialogo, con una proposta di modello inclusivo». L’uso della sorveglianza particolare, così come l’applicazione dell’articolo 32 del Regolamento di esecuzione, secondo Antigone andrebbero usati con estrema parsimonia, se non del tutto eliminati. «Il trattamento individualizzato – spiega l’associazione - non deve consistere in scorciatoie custodiali che alimentano tensioni. I casi difficili vanno trattati con l’ausilio di una équipe di operatori e non invece esclusivamente reclusi in condizioni di sostanziale isolamento». Ugualmente, l’uso della forza in carcere va assolutamente residualizzato e deve seguire protocolli standardizzati. Va rotto in carcere il circolo vizioso della violenza, così come mai vanno usati i trasferimenti a titolo punitivo. Antigone precisa che in molti Istituti, grazie a direttori e comandanti di reparto, si respira un’aria di serenità e normalità. Ed è questa che deve essere la regola.