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Risolvere il problema della prescrizione del reato disseminando “trappole” durante il processo e “terrorizzando” la difesa. In estrema sintesi sono queste la proposte per risolvere l’eccessiva durata dei processi, una delle principali criticità del sistema giudiziario italiano, emerse durante il Congresso nazionale di Magistratura Indipendente che si è concluso sabato scorso a Torino. Tema sul tappeto quello della disciplina generale del processo penale d’appello, dove si prescriverebbero il 40% dei fascicoli.
La soluzione prospettata dalle toghe è quella di mettere in discussione il principio fondamentale in materia di impugnazione della sentenza, prevedendo l’abolizione del divieto di reformatio in pejus. La norma cardine del codice di procedura penale secondo cui, quando appellante è solo l’imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie e quantità di quella enunciata nella sentenza revocata. La questione è stata posta da Francesco Saluzzo, procuratore generale di Torino, secondo cui «l’abolizione è una misura che permetterebbe di ridurre il carico di ricorsi: molti di essi, infatti, vengono presentati solo per beneficiare della prescrizione». Lo scopo degli appelli da parte delle difese sarebbe, secondo l’alto magistrato, solo quello di «guadagnare tempo». Per supportare la sua tesi, il procuratore generale di Torino ha cercato un parallelo con l’ordinamento francese. «Una conferma indiretta a questa tesi può essere cercata con un confronto con la vicina Francia, paese affine per caratteristiche storiche e culturali dove però non vige il divieto di reformatio in peius: nel 2009 il numero di appelli alla sentenza di primo grado presentati è stato pari a un quarto di quelli depositati in Italia nello stesso anno», aggiunge Saluzzo secondo il quale «l’abolizione del divieto di reformatio in peius non è un dogma», invitando il legislatore agire per deflazionare i processi di appello penali. Fermamente contrario alla proposta delle toghe è il presidente emerito della Corte costituzionale, Giovanni Maria Flick. «Non si capisce, infatti, per quale motivo l’eccessiva durata dei processi debba essere affrontata limitando i diritti della difesa. Stiamo infatti parlando di sentenze per le quali il pubblico ministero non ha, pur potendolo fare, presentato appello» ha dichiarato Flick. Si “terrorizza” l’imputato ingiustamente condannato. «l nostro sistema tollera assoluzioni erronee ma non condanne erronee: è per questo che esiste l’appello» ha concluso.
Pronta la risposta del procuratore Saluzzo: «Abbiamo già tentato di fare qualcosa usando gli strumenti a disposizione per scoraggiare gli appelli presentati dagli imputati che mirano a un effetto dilatorio». «A Torino - prosegue - si cominciano a fare più appelli incidentali da parte della procura generale. L’appello incidentale - spiega Saluzzo - paralizza l’effetto dell’appello presentato da parte dell’imputato», cioè del divieto delle reformatio in peius. «Se propongo l’appello incidentale il divieto non c’è più - spiega il Pg di Torino - quindi un imputato condannato in primo grado a due anni può prenderne anche quattro in secondo grado. E così in qualche caso rinuncerà all’appello. «E questo - fa notare Saluzzo - alla lunga, mi auguro avrà una efficacia dissuasiva sulla quantità di appelli che vengono presentati e poi un’efficacia deflattiva, nel senso che a quel punto i procedimenti di appello saranno meno».