Un anno fa il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone spiegava nelle interviste perché fosse legittimo considerare effettivamente «mafiosi» gli imputati del maxiprocesso Mafia Capitale. Perché la rete di traffici e corruttele per la quale sono tuttora a giudizio 46 persone (senza considerare gli imputati dei procedimenti minori) ricadesse senz’altro nel 416 bis. Quattro giorni fa a Palermo il capo dei pm romani, in un dibattito su mafia e corruzione a Palazzo di Giustizia, non si è sbilanciato sull’effettiva natura dei reati contestati a Salvatore Buzzi e ai suoi collaboratori: «Ci sono processi in corso: saranno i giudici, dal primo grado alla Cassazione, ad affermare se si tratta di associazione mafiosa o meno». Una comprensibile strategia “difensiva”. Sul fatto che bastasse il rapporto con una figura dello spessore di Carminati a qualificare le gesta di Buzzi ed altri come assimilabili a quelle di una cosca, su questo snodo decisivo di Mafia Capitale si sono consumate le discussioni più aspre tra pm e difensori.La contesa tra pm e avvocatiMeglio sospendere la contesa mediatica su un terreno che sembra scivoloso quanto meno per entrambe le parti. Il punto è che lo scontro continua in aula. Davanti al collegio della decima sezione penale del Tribunale di Roma, presieduto da Rosanna Ianniello. Scontro che ora si è ravvivato attorno alla deposizione di uno dei teste chiave, Roberto Grilli, lo “skipper” della barca sequestrata nel 2011 al largo della Sardegna con mezza tonnellata di cocaina purissima a bordo. Grilli avrebbe voluto avvalersi della facoltà di non rispondere, cosa impossibile vista la sua posizione di testimone assistito, poi il 21 giugno ha preso la parola ma ha parzialmente ridimensionato le ricostruzioni fatte in sede di indagini preliminari. Le affermazioni pronunciate in udienza sembrano difficilmente compatibili con l’idea che su Roma insistesse una cupola mafiosa. Ma più di quanto detto da Grilli in aula peserebbe la carta messa sul tavolo dalla Procura, che è riuscita a far acquisire - per ora - agli atti la registrazione del colloquio avuto da Grilli con i carabinieri del Ros quando questi ultimi, lo scorso 10 giugno, gli notificarono la convocazione. È lì che lo “skipper” ha confessato i propri timori di subire rappresaglie da parte di persone vicine al “cecato” Carminati qualora avesse ribadito nel processo quanto detto nella fase delle indagini.Nel cd la «paura» del testimoneMa appunto nonostasnte l’asso calato dai pm Luca Tescaroli e Giuseppe Cascini, da Grilli sono usciti elementi non di straordinario rilievo processuale. «La mia vicinanza a Carminati era un’idea che altri avevano e che io non negavo perché mi consentiva di guadagnare rispetto in certi ambienti, di essere trattato in un certo modo». Grilli ha anche negato di aver mai avuto traffici con il clan camorristico di Michele Senese. Ha detto di essere stato sì avvicinato da un affiliato del boss, ma di aver poi «lasciato cadere la cosa: mi sono ben guardato dal lasciarmi coinvolgere in una situazione di quel tipo». Resta in ballo il cd dei Ros con quelle sue imprecazioni, cose del tipo «dopo questa botta data da me che magari è l’ultimo chiodo p’attacca’ Carminati, che faccio? Torno per le strade di Roma, così duro ’na settimana?... ». Pesa questo, la sua paura. Sta di fatto che sull’utilizzabilità della registrazione gli avvocati della difesa hanno sollevato eccezioni tutt’altro che infondate. E che neppure nell’udienza di ieri la presidente Ianniello ha sciolto la riserva sui punti sollevati dai legali.Sentenze della Corte di Cassazione e della Consulta affermano l’impossibilità di acquisire agli atti “emergenze d’indagine” raccolte con modalità che, di fatto, aggirano la normativa sulle intercettazioni. Inoltre l’uso nel fascicolo processuale di affermazioni che il testimone non ha ripetuto davanti alla Corte sarebbe precluso: la Procura ha ottenuto dai giudici l’acquisizione di questi atti in virtù dell’articolo 500 quarto comma del codice di procedura penale, secondo cui «le dichiarazioni precedentemente rese dal testimone sono acquisite» se «vi sono elementi concreti per ritenere che il testimone è stato sottoposto a minaccia». Ma in aula è stato espressamente chiesto a Grilli se avesse subito minacce e lui ha negato. Nella stessa registrazione dei Ros lo “skipper” non parla mai di pressioni effettivamente ricevute, fa solo emergere il proprio generico timore di subire ritorsioni.Secondo i legali insomma quel cd non andava acquisito. Lo ha sostenuto Valerio Spigarelli, difensore di Agostino Gaglianone, anche per conto di altri avvocati, in una delle udienze successive a quella in cui ha deposto Grilli. E su tali eccezioni appunto la presidente Ianniello ieri avrebbe potuto sciogliere la riserva e non lo ha fatto. Segno che un margine di dubbio sulla correttezza delle procedure seguite dagli inquirenti effettivamente esiste.In aula Roberto Grilli, che pure sarebbe un teste chiave, non ha offerto spunti decisivi. Ha descritto un’ambientazione della “cerchia” di Carminati, ha indicato l’ormai famigerata stazione Eni di corso Francia come un snodo chiave, sì, ma soprattutto per i traffici di usurai e persone dedite, come lo stesso Grilli, a traffici illeciti, che ai gestori chiedevano di continuo di cambiare assegni. Lo “skipper” ridimensiona peraltro il peso criminale di figure come Matteo Calvio, il cosiddetto “spezzapollici” di Carminati: «Mi è venuto da sorridere nel vederlo chiamare così sui giornali: mi era sempre sembrato niente più che un fanfarone». Sulla testimonianza di Grilli pesa quanto da lui affermato a inizio deposizione, e cioè che è stato l’avvocato Alessandro Capograssi a suggerirgli di dare una rappresentazione “ingigantita” dei suoi rapporti con Carminati.Le valutazioni su questi ultimi sviluppi possono essere due e di segno opposto. La prima, che la Procura cerchi di ricorrere anche a qualche forzatura procedurale pur di dare sostanza a un’accusa di mafia vacillante; che debba inseguire l’ “incidente”, senza il quale si dissolverebbe tutta la scenografia mediatica delle indagini. Ma passaggi come quello della testimonianza di Grilli potrebbero prestarsi anche a una lettura opposta, e cioè avvalorare l’idea di un persistente clima di intimidazione, in grado di materializzarsi in sanguinose ritorsioni anche ora che il presunto mandante di ogni nefandezza, Carminati, è al 41 bis. Si tratta in ogni caso di una strada che l’accusa è costretta a percorrere con grande affanno. Anche attraverso carte a sorpresa come quella della registrazione effettuata dal Ros all’insaputa di Grilli e che neppure può essere considerata definitivamente acquisita al processo.