LE NUOVE NORME L’AGENTE DOVRÀ INDICARE AL PM L’OGGETTO DELLE INTERCETTAZIONI NON TRASCRITTE

Con le nuove norme sulle intercettazioni tutto il “potere” sarà nelle mani della polizia giudiziaria? Non è detto. Anzi: non dovrebbe essere così, almeno nelle intenzioni del ministro Andrea Orlando. Che ha integrato la prima bozza del decreto sugli ascolti anche con una precisazione relativa alle conversazioni per le quali è vietata la sbobinatura. Nella versione del provvedimento che sarà discussa venerdì prossimo in Consiglio dei ministri, anticipata alcuni giorni fa da Repubblica, è sì previsto che gli agenti addetti materialmente all’ascolto e all’eventuale verbalizzazione delle telefonate debbano evitare la trascrizione di quelle riguardanti dati “sensibili” per la privacy, o comunque relative a persone e circostanze estranee alle indagini. Ma in questi casi, oltre a data, ora e dispositivo intercettato, l’agente dovrà indicare anche l’“oggetto” dei colloqui. Infor-mazioni che vengono trasmesse al pubblico ministero, come già previsto oggi dal quarto comma dell’articolo 268 del Codice di procedura penale. Il magistrato potrà dunque avere almeno un’idea di massima, seppure “per titoli”, dei contenuti di tutte le conversazioni. Anche di quelle destinate a finire nell’archivio riservato e a non essere utilizzate negli atti delle indagini. Giacché sarà lo stesso pm a custodire il materiale, compresi i file con registrazioni dei colloqui e testi dei messaggi, potrebbe fin da subito verificare personalmente i contenuti sui quali ha un margine di dubbio. Dovrebbe poter operare, insomma, un controllo agevole sulla selezione effettuata dalla polizia.

I “CASI SCAFARTO” OGGI CI SONO ECCOME

Basterà a evitare che gli agenti su muovano con eccessiva disinvoltura, che “nascondano”, elementi utili a rafforzare le ipotesi d’accu- sa o anche a scagionare un indagato? Sicuramente le “annotazioni per titolo” eviteranno che la situazione si sbilanci più di quanto avviene con le norme vigenti. Già oggi in realtà è la polizia giudiziaria ad ascoltare materialmente i nastri, almeno in prima battuta. Durante le indagini “napoletane” su Consip, Henry John Woodcock non ha avuto modo di accorgersi che il capitano del Noe Gian Paolo Scafarto aveva attribuito ad Alfredo Romeo la frase “l’ultima volta che ho visto Renzi”, pronunciata in realtà da Italo Bocchino. E anche nella clamorosa vicenda di Seregno ( a cui è dedicato un altro servizio del giornale, ndr) , il pm non ha potuto certo rendersi conto dei “fraintendimenti” operati dalla polizia giudiziaria durante l’ascolto di alcuni colloqui. È stato il difensore a rilevare le anomalie e a costruirci sopra il ricorso al Riesame.

Sembra così venire meno una delle principali ragioni di preoccupazione manifestate dagli stessi magistrati. È stata sempre Repubblica a dar voce all’ex segretario dell’Anm Giuseppe Cascini, che ieri, in un’intervista rilasciata a Liana Milella, aveva notato: «Mi pare che affidare in via esclusiva alla polizia il compito di selezionare, al momento del primo ascolto, il materiale intercettaagenti, to riduca il controllo sull’operato della stessa polizia e comprima la possibilità per la difesa di accedere a informazioni che potrebbero rivelarsi utili per l’indagato». Anche questo secondo rischio dovrebbe risultare almeno in parte attenuato dalla norma sulle “annotazioni” che dovrebbero accompagnare l’indicazione di data, ora e dispositivo di ciascun “ascolto”.

COLLOQUI DEI DIFENSORI: I LIMITI DEL “DIVIETO”

Proprio la norma che consente al pm di orientarsi nel materiale intercettato e “non trascritto” dagli rivela però i limiti del passaggio che riguarda le conversazioni tra difensore e assistito. Da una parte la modifica dell’articolo 103 del Codice di rito pare assolutamente rispettosa della funzione difensiva. Nella versione finale del decreto, infatti, resta il divieto di trascrivere le comunicazioni dell’avvocato. Si tratta dell’unico caso in cui neppure il pm può dare indicazione opposta: se ci sono di mezzo la privacy o “persone non coinvolte nelle indagini”, il magistrato potrebbe comunque, con decreto motivato, disporre la trascrizione; se a essere intercettato è un difensore, il divieto di sbobinatura non ammette deroghe. Nello stesso tempo però il pm potrebbe comunque ascoltare le telefonate dell’avvocato, e conoscere così indebitamente la strategia difensiva. Una distorsione che sarebbe stato possibile evitare solo con l’esplicito “divieto di ascolto” sollecitato dall’avvocatura.