Phyllis ha stappato la vita di suo figlio dalle fauci dei veleni di piombo. Ha promosso una class action, chiuso la fonderia che rilasciava scarichi mortiferi e messo in salvo un’intera comunità in uno slum di Mombasa. È arrivata lì dove il governo del suo Paese, il Kenya, non era riuscito a spingersi. «Ma senza avvocati non avrei potuto nulla», racconta nell’incontro al Cnf sui “Diritti senza confini”. «Senza la conoscenza degli strumenti giuridici disponibili non saremmo riusciti a cogliere la vittoria». Eroina premiata nel 2015 con il Goldenman prize, un Nobel per i diritti umani, Phyllis Omido spiega che senza avvocati anche l’eroismo si perde. «E io oggi in mezzo a voi, menti illuminate, vi dico: avrei voluto fare l’avvocato. E ancora sogno che mio figlio possa diventarlo».

La ascoltano col fiato sospeso il presidente del Cnf Andrea Mascherin e gli altri relatori dell’evento organizzato presso la sede del massimo organismo dell’avvocatura. Una storia che sublima il rilievo sociale della professione forense, richiamata da Mascherin a inizio incontro. Con Phyllis e il vertice del Cnf siedono al tavolo dei relatori l’ex ministro Alfonso Pecoraro Scanio, che ora guida una fondazione, UniVerde, e promuove con gli avvocati una campagna sulla tregua olimpica, ZeroWar 2020; il sottosegretario allo Sviluppo economico Andrea Cioffi; il coordinatore della commissione Diritti umani dello stesso Cnf, Francesco Caia; e l’avvocato che presiede l’Istituto per gli Studi delle politiche ambientali, Maurizio Montalto. Phyllis li travolge, una forza della natura. Poi contribuisce a rendere il successivo incontro con il presidente della Camera Roberto Fico una possibile svolta per l’impegno degli avvocati sui diritti umani. Nel pomeriggio la “Green Nobel” è nell’ufficio della terza carica dello Stato insieme con Mascherin, Pecoraro Scanio e Montalto. Il colloquio ( come ricordato in altro servizio di questa pagina, ndr) contribuisce a segnare il primo passo di Fico e Mascherin verso un’authority per i diritti umani, che veda l’avvocatura italiana in prima linea.

Una giornata vissuta dunque a uno straordinario grado di intensità, segnata dal racconto di Phyllis nell’incontro della mattina al Cnf.

L’attivista che le stesse Nazioni unite hanno chiamato a cooperare, offre una espressione concreta del ruolo che solo l’avvocatura può svolgere: «Abbiamo trovato un sostegno straordinario nella Eastern Africa law society. Ho visto avvocati lavorare fino a mezzanotte per individuare lo strumento giuridico che il governo di Mombasa non sapeva offrirci». È così: Omido si è battuta per fermare la produzione inquinante della “Metal refineries Epz Ltd”, che aveva aperto la fonderia nel suo slum, Owino Uhuru. Ha trascinato centinaia di concittadini, ma le autorità del suo Paese si sono dichiarate impotenti: «Mi spiegarono che un politico locale aveva fatto in modo da blindare le autorizzazioni per la fonderia, e da rendere inefficace, sul piano giuridico, qualsiasi intervento dell’esecutivo. Così nel 2014 abbiamo chiesto agli avvocati, che già ci avevano tirato fuori di prigione, di individuare una soluzione.

Suggerirono una norma che vietasse l’esportazione del piombo ricavato dalle batterie usate, delle quali proprio nella fonderia si procedeva allo smontaggio. In tal modo è caduto il presupposto giuridico che aveva reso fino a quel momento inespugnabile la fortezza dei veleni».

AVVOCATO AD HONOREM

Ecco: si realizza l’idea richiamata poco prima da Mascherin nel presentare Omido: «L’affermazione dei diritti, la stessa soluzione alla questione dei migranti, devono per forza essere globali: e la sola rete internazionale di giuristi è quella delle avvocature». Una rete in grado appunto di spingersi fin là dove gli stessi governi, corrotti o solo impotenti come in Kenya, non sanno arrivare. Diventa, così, naturale l’atto che suggella l’evento al Cnf: la consegna a Phyllis Omido, da parte di Mascherin, del tesserino di avvocato: «Hai detto che avresti voluto svolgere la nostra professione, che nel batterti per i diritti hai quasi avuto il rimpianto di non aver fatto studi giuridici: non ce n’è bisogno», dice il presidente del Cnf, «ti riconosciamo ad honorem l’iscrizione all’albo». Un momento commovente, in cui brilla ancora di più l’incredibile energia della donna che da un piccolo sobborgo di Mombasa ha cambiato le politiche globali sul riciclaggio del piombo.

«L’Onu ci ha chiamato a scrivere una risoluzione con cui sono state finalmente introdotte regole precise per il commercio del metallo ricavato dalle batterie di autovecoli usati», ricorda ancora Phyllis. «È stato emozionante, come lo è stato il fatto di verificare che la giustizia è accessibile». Poi aggiunge parole che risuonano come fragorosa affermazione di verità rispetto alle ultime vicende italiane: «Grazie al premio conferitomi, abbiamo potuto disporre della liquidità necessaria per la nostra class action. Ma ci siamo anche resi conto che se si vuole offrire agli abitanti di qualsiasi piccolo villaggio africano la possibilità di ribellarsi all’inquinamento, è necessario introdurre un gratuito patrocinio, una difesa alla portata dei poveri». Fosse stato presente ieri al Cnf, persino Salvini sarebbe rimasto senza parole.