La lista che ha fatto scattare dei malumori in alcuni ambienti dell’antimafia è anche quella dell’Azienda sanitaria locale di Parma dove compaiono diversi detenuti di grosso calibro al 41 bis. Ma non si è detto del contenuto, che “racconta” una storia ben diversa e drammatica dove emergerebbe una gestione – secondo la Asl – inadempiente da parte del Dap. Una lunga serie, quasi infinita, di detenuti reclusi nel carcere di Parma che presentano gravissime patologie per le quali, la maggioranza di loro, vengono “curati” nelle sezioni “normali” e non nel centro clinico (Sai) perché i posti sono occupati da altrettanti malati. Alcuni di loro sono over settantenni e reclusi al 41 bis o in Alta Sorveglianza. Tutti pazienti gravemente malati e a rischio. Ci sono nomi importanti come quelli del 74enne Giuseppe “Piddu” Madonia, colui che aveva ricoperto la carica di reggente provinciale di Cosa nostra, oppure il boss 78enne Salvatore Giovanni Lo Piccolo o il 75enne Antonino Cinà, l’ex medico legato a Cosa nostra ai tempi di Totò Riina e sotto processo nella presunta trattativa Stato-mafia. Tanti sono i nomi di “grosso peso”, ma sono tutti pazienti a rischio per l’età e per la presenza di importanti patologie. Ma ciò che finora non è stato detto è che la Asl ha avanzato una vera e propria denuncia sulla gestione – quella precedente – da parte dell’amministrazione penitenziaria (Dap) che ha reso ancora più difficile l’assistenza sanitaria a tutti quei detenuti che non riescono a curarsi. Il centro clinico di Parma ha solo 29 posti, tutti occupati e parliamo del punto di riferimento delle carceri di mezza Italia. Detenuti con trapianti, immunodepressi, diabetici scompensati, carcinomi, lesioni ossee. Un vero e proprio lazzaretto. A tutto questo però si aggiunge un elemento che aggraverebbe la situazione già drammatica di suo. «Tuttavia preme segnalare – si legge nel documento – che sono state disposte allocazioni inappropriate direttamente dall’amministrazione penitenziaria, senza alcuna certificazione o parere medico». Ma non solo. Oltre a sottolineare l’inadeguatezza della sezione paraplegici (9 posti) dove ci sono pazienti cronici, la Asl locale di Parma denuncia che si era «verificata un’allocazione disposta direttamente dal Dap senza il parere del medico». Ma la denuncia più forte deve ancora arrivare e che – inevitabilmente – ha come conseguenza l’unica alternativa possibile: ovvero il differimento pena per garantire la salute dei detenuti più a rischio. Di cosa parliamo? La Asl parte dal presupposto che il centro clinico – secondo l’accordo Stato – regioni del 2015 – ospita in ambienti penitenziari detenuti che, per situazioni di rischio sanitario, possono richiedere un maggiore e più specifico intervento clinico non effettuabili nelle sezioni comuni, restando comunque candidabili per una misura alternativa o per il differimento o la sospensione della pena per motivi di salute. Quindi cosa significa? L’inserimento in tali strutture risponde a valutazioni strettamente sanitarie e il venir meno delle motivazioni cliniche che giustificano la presenza nel Sai (il centro clinico), certificate dal medico, dovrebbero essere sufficienti di per sé a portare la direzione degli Istituti penitenziari alla tempestiva ritraduzione del paziente all’istituto di provenienza. Invece accadrebbe il contrario. A denunciarlo è sempre la Asl. «Spiace constatare – si legge nel documento – che ciò purtroppo avviene solo sporadicamente, senza contare tutte le innumerevoli richieste di trasferimento presso il carcere di provenienza inoltrate da questo Ufficio Sanitario e che, ad oggi (24 marzo, ndr), sono rimaste senza seguito». Tutto questo cosa comporta? Secondo la Asl «questa mancanza di turn over crea disfunzioni organizzative e funzionali tra cui l’allocazione inappropriata nelle sezioni comuni di pazienti che, per condizioni cliniche, sarebbero invece candidabili ad un posto letto al Sai o alla sezione per paraplegici». Ciò che si denuncia non fa altro che aggravare la situazione sanitaria dell’intero carcere di Parma che è pieno di vecchi e malati. Tanti di loro al 41 bis o in Alta sorveglianza. La Asl è chiara su questo punto. «Tali disfunzioni portano a considerare il carcere di Parma nel suo insieme come un contesto ad “Alta complessità sanitaria”, con elevatissima intensità assistenziali anche nelle sezioni cosiddette “normali”». Tutto ciò, con l’emergenza Covid 19 attuale, ha necessariamente portato a porre maggiore attenzione a diversi pazienti a causa della vulnerabilità degli stessi legata per età e condizioni patologiche associate. La Asl non poteva fare altrimenti visto che la salute dei detenuti è sotto la sua responsabilità. Ed ecco che – anche per la oramai nota circolare del Dap – la Asl ha inviato una lunga lista di persone detenute a «maggior rischio di infezione Covid 19 come exitus – si legge nel documento – presumibilmente peggiore rispetto alla restante popolazione detentiva». Se non ci fosse stata quella circolare del Dap del 21 marzo, molto probabilmente tutto questo non sarebbe emerso ufficialmente. Come detto, in quella lista, compaiono anche nomi di grosso calibro. Nomi storici di Cosa nostra, ma anche della ‘ndrangheta come l’ergastolano ostativo Domenico Papalia che è detenuto ininterrottamente dall’8 agosto del 1977 e recluso da anni al carcere di Parma dal 1992 in alta sorveglianza, non manca ovviamente il nome di Raffaele Cutolo, con una grave patologia polmonare e al quale recentemente gli è stata rigettata l’istanza per il differimento pena. Una lista lunghissima, la prima più urgente di 51 nominativi classificati a rischio per l’età e presenza di importanti comorbidità (la coesistenza di più patologie diverse in uno stesso individuo ndr.). La seconda lista solo per gravi patologie è composta da 152 nominativi, mente sono 5 quelli che sono solo a rischio per l’età ma in assenza di importanti patologie. Se vogliamo solo considerare le prime due liste dove ci sono detenuti in età avanzata e/o con gravi malattie, vuol dire che ci sono 203 persone a rischio e bisognose di cure. Tolte le 29 persone che sono assistite nel centro clinico (posti letto disponibili), vuol dire che ci si sono 174 persone (su 600 attualmente ristretti) che sono “curate” nelle sezioni normali e quindi non adibite per l’assistenza sanitaria di cui necessitano.