La prima Sezione Penale della Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza col quale il Tribunale di Sorveglianza de L’Aquila aveva concesso la semilibertà a Giuseppe Guglielmino, condannato all’ergastolo sin dal 1996 per plurimi reati di stampo mafioso, sei omicidi, soppressione di cadavere e detenzione illegale di armi. Questa sentenza dimostra che, anche dopo la caduta dell’ostatività, i paletti per la concessione dei benefici restano stringenti. Una dimostrazione di come furono strumentali gli allarmismi contro la Consulta che dichiarò incostituzionale il divieto assoluto dei benefici a chi non collabora con la giustizia. Così come, è un fatto, che le concessioni di tali benefici passano sempre a un vaglio accurato.

Guglielmino, ritenuto al vertice del clan Laudani (Mussi ri ficurinia), egemone del territorio nella provincia di Catania e su parte della provincia di Messina, aveva visto accogliere dal Tribunale aquilano la sua richiesta di semilibertà sulla base di buona condotta carceraria, percorso rieducativo regolare e disponibilità a svolgere attività socialmente utili. Il Procuratore Generale aveva però impugnato quei rilievi, segnalando come fossero stati ignorati i pareri negativi della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania (26 settembre 2023 e 13 agosto 2024) e la relazione del Nucleo investigativo dei Carabinieri di Catania del 13 febbraio 2023, in cui si evidenziava la persistenza dei collegamenti mafiosi e un tenore di vita familiare sproporzionato rispetto alle fonti lecite.

Sul piano normativo, la Corte ricorda l’intervento del decreto legge 162/ 2022, convertito nella legge 199/ 2022, che separa nettamente i detenuti collaboranti da quelli non collaboranti: per questi ultimi, col reato di associazione mafiosa, è scattato un onere di “istruttoria rafforzata”

per dimostrare non solo il ravvedimento e l’impegno civile, ma soprattutto l’assenza di collegamenti attuali e di ogni rischio di ripristino dei legami criminali. Chi, come Guglielmino, ha commesso i fatti prima della data di entrata in vigore del decreto – e perciò non rientra nelle nuove modalità più gravose – beneficia tuttavia di taluni alleggerimenti procedurali, a patto che il giudice ne verifichi compiutamente le condizioni.

La Cassazione punta il dito contro la formulazione sintetica e “apodittica” adottata dal Tribunale di Sorveglianza: le motivazioni sulla mancata valutazione degli elementi negativi (pareri Dda e relazione Carabinieri), sulla carenza di prove di definitiva dissociazione mafiosa e sul rischio di riattivazione di contatti criminosi sono giudicate insufficienti. Al medesimo modo vengono bollati come “programmi solo prospettati” i progetti di risarcimento alle vittime e di giustizia riparativa, non sostenuti da concreti atti di impegno. Inoltre, la Corte sottolinea come, per la concessione della semilibertà, non basti la buona condotta in carcere, ma occorra anche la “presa di coscienza” attraverso un’analisi critica del passato e un concreto ravvedimento, elementi richiamati dalla giurisprudenza di legittimità sin dal 1993. La decisione di revocare il regime di alta sicurezza (41 bis) nel 2010 e l’assenza di carichi pendenti non possono compensare l’omessa istruttoria su queste premesse fondamentali.

Per queste ragioni la Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata e ha disposto il rinvio per un nuovo giudizio al Tribunale di Sorveglianza de L’Aquila, invitando il giudice di secondo grado a integrare la motivazione sui punti segnalati, in particolare a verificare in modo puntuale l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata e il reale percorso di ravvedimento dell’interessato.