Il che fa temere un esito paradossale: se mai ci sarà una riforma del Csm, verrà scritta dai suoi stessi destinatari, i magistrati appunto. Ma andiamo con ordine. Ieri il presidente della commissione Giustizia della Camera, Mario Perantoni, un 5 Stelle di ispirazione progressista e linguaggio moderato, ha provato a lanciare un segnale al governo: «Dalla prossima settimana dovranno tornare all’ordine del giorno due temi centrali: l’ergastolo ostativo e la riforma del Csm, anche questa con tempi stringenti». Lo ha fatto in coincidenza con l’ennesimo Consiglio dei ministri, quello di ieri, in cui gli emendamenti Cartabia al ddl sui magistrati sono rimasti al palo. Non a caso, il responsabile Giustizia di Azione Enrico Costa aveva scritto a Perantoni, a inizio gennaio, una lettera in cui sollecitava la ripresa dell’esame in commissione anche in assenza delle proposte governative. Perantoni aveva risposto che se ne sarebbe riparlato subito dopo l’elezione del Capo dello Stato. Ci siamo: ma l’esecutivo ancora non batte ciglio. «Potremmo andare avanti da soli, anche perché», dice Costa interpellato dal Dubbio, «non è detto che il governo debba presentare emendamenti chiusi: può anche esprimere pareri, con eventuali richieste di riformulazione, sulle proposte di noi deputati. Il risultato è lo stesso». Giusto. Anche perché, fa notare un altro dei parlamentari in prima linea sul dossier Csm, il capogruppo di Forza Italia in commissione Pierantonio Zanettin, «non si può pensare di comprimere il nostro diritto a proporre modifiche solo perché incombe l’elezione del nuovo Consiglio superiore e serve con urgenza un nuovo sistema di voto. Se la riforma è rimasta ferma per tre anni non è colpa nostra». Chiarissimo anche questo. Zanettin aggiunge: «Circola l’ipotesi di prorogare l’attuale Csm, in modo da fare in tempo a cambiare la legge elettorale. Una beffa. Non ci si doveva ridurre in queste condizioni».

L’INTERVENTO DELLE TOGHE SUI DETTAGLI DEL DDL

Il quadro insomma è complicato. Anche perché la materia, come detto, è per iniziati. Le regole da introdurre dovranno innanzitutto assicurare un sistema più meritocratico sia nella scelta dei capi degli uffici giudiziari sia nel valutare la professionalità di tutti i magistrati. Si tratta di un universo parallelo, dal punto di vista tecnico- giuridico: chi non fa parte della magistratura difficilmente può averne contezza. Ed è il motivo principale che induce a temere una “regia di fatto” da parte dei magistrati insediati nei diversi snodi del processo legislativo, innanzitutto a via Arenula. Si può citare un esempio: la norma prevista nel testo base - incardinato quando guardasigilli era ancora Alfonso Bonafede - riguardo ai criteri per scegliere procuratori capo e presidenti di Tribunale. Così recita: si delega il governo a «individuare, ai fini della nomina alle funzioni direttive e semi-direttive, puntuali parametri e indicatori delle attitudini, questi ultimi suddivisi in generali e specifici e distinti per tipologia di ufficio, da valutare sulla base di criteri ponderali (...)». Sembra davvero una lingua arcaica. Ma con un po’ di pazienza, si coglie il passaggio chiave: l’espressione “criteri ponderali”. Vuol dire che l’intreccio di parametri valutativi, capace di rendere del tutto arbitraria qualsiasi nomina, va dipanato in base al peso specifico da attribuire, per legge, a ciascuno dei criteri. Un tentativo di rendere meno fluida e opinabile la griglia delle scelte. Ora sarà un caso, ma la commissione tecnica guidata da Massimo Luciani, individuata a marzo 2021 dalla ministra Marta Cartabia per elaborare un restyling del testo Bonafede, ha avuto l’abilità di elidere chirurgicamente proprio il decisivo riferimento ai “criteri ponderali”. A essere maliziosi, verrebbe da sospettare che l’abbiano suggerito i diversi magistrati coinvolti nei lavori della commissione Luciani, consapevoli che attribuire un peso specifico preordinato ai criteri avrebbe reso più rigido il percorso decisionale del Csm. A voler essere non solo maliziosi ma anche polemici, si potrebbe aggiungere che minore rigidità significhi anche maggiore libertà, per le correnti, di far valere l’aspetto politico nelle nomine.

COSTA: «LIBERARE DAL CSM I TECNICI DEL LEGISLATIVO»

«Ma il punto non è mettere in discussione l’onestà intellettuale di un magistrato che lavora per u ufficio legislativo», osserva ancora Costa, «casomai si discute della visione culturale, delle libere convinzioni tecnico- giuridiche che, in un magistrato, saranno probabilmente diverse rispetto ad altri scienziati del diritto. E per questo che, come Azione, intendiamo proporre un modifica dei ruoli all’interno dei ministeri, in modo che la carriera di addetto all’Ufficio legislativo diventi autonoma da quella in magistratura. Intanto, per consentire che vi accedano più facilmente anche avvocati e accademici. E poi perché un magistrato di carriera è pur sempre sottoposto alle valutazioni disciplinari e professionali del Csm, ma se invece sceglie in via definitiva di optare per un concorso ministeriale e si sottrae così all’organo di autogoverno delle toghe, sarà anche più libero nelle proprie valutazioni». In definitiva Costa non ha esitazioni nel riconoscere «il rischio che la magistratura, attraverso i presìdi di cui dispone nei passaggi chiave della macchina legislativa, governi questa riforma del Csm. D’altra parte, anche quando un sottosegretario incaricato di seguire i lavori in commissione deve valutare degli emendamenti parlamentari a una riforma in materia di giustizia, sono sempre i magistrati del legislativo che gli preparano le schede per esprimere il parere sulla proposta. E basta un’obiezione tecnica difficilmente contro deducibile da un deputato che non sia super esperto della materia, per orientare in una certa direzione la scelta del governo».

ZANETTIN: «SULLE NOMINE NO AD AUTOMATISMI»

Zanettin condivide con una riserva: «Io ad esempio sono stato consigliere laico del Csm, e conosco la materia, certamente complessa ma, appunto anche alla portata di alcuni fra noi parlamentari: non è detto che la politica sia destinata a non toccare palla». E comunque, a proposito di passaggi come quello sui criteri ponderali, espunto dai tecnici della commissione Luciani, Zanettin pure offre una lettura diversa: «Non sono sicuro che sia opportuno ridurre a mera robotica, a semplice somma algebrica, l’incrocio fra i diversi requisiti per attribuire un incarico direttivo a un magistrato. È pur sempre giusto, nel caso di un organo di alta amministrazione qual è il Csm, concedere quella che viene definita discrezionalità tecnica, altrimenti tutto è consegnato al giudizio del Consiglio di Stato, come è avvenuto con il recente conflitto sui vertici della Cassazione».

CHI “CONTRASTERÀ” LE TOGHE SUI DECRETI ATTUATIVI?

Da ultimo, non si può dimenticare che la riforma del Csm è una legge delega, e che andrà dunque completata con i decreti attuativi, in cui la specializzazione che possono vantare, sulla materia, solo i magistrati e pochi altri, sarà ancor più determinante. Il rischio insomma è che la riforma del Csm sia di fatto scritta dai suoi stessi destinatari resta alto. A maggior ragione se, come teme Zanettin, i tempi dell’esame alla Camera si faranno cosi stretti da non lasciare neppure, ai deputati, il tempo di capire meglio cosa saranno chiamati a votare.