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L’ergastolo ostativo viola l’articolo 3 della Convenzione europea che vieta i trattamenti e le punizioni inumane e degradanti, configurando un ergastolo incomprimibile. Così ha deciso ieri la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul ricorso dell’ergastolano Marcello Viola e assistito dagli avvocati Antonella Mascia, Valerio Onida e Barbara Randazzo.
La pena perpetua è divenuta definitiva nel 2004. Marcello Viola, ricordiamo, si è sempre proclamato innocente e anche per questo, ma non solo, non ha mai scelto di collaborare, unica condizione per mettere fine alla pena perpetua che è, appunto, l’ergastolo ostativo. Nel 2011 e nel 2013 ha presentato istanze di concessione del permesso premio, ottenendo sempre una risposta negativa.
Ma ora i giudici di Strasburgo hanno sentenziato chiaro e tondo che l’assenza di collaborazione non può essere considerata un vincolo, a cui subordinare la concessione dei benefici durante l’esecuzione della pena, e neppure può precludere in modo automatico al magistrato la valutazione di un progressivo reinserimento del detenuto nella società. Quindi, in sintesi, la Cedu fa cadere l’automatismo della collaborazione.
I giudici della Corte Europea, di fatto, mettono in discussione quella forma di ergastolo, e dunque la preclusione assoluta all’accesso ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale per i condannati non collaboranti, quando la condanna riguarda i reati dell’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario. Tra le premesse, la Cedu spiega in sostanza che il rifiuto di collaborare del detenuto non è necessariamente legato alla continua adesione al disegno criminale e, d’altra parte, potrebbero aversi collaborazioni per semplice “opportunismo” non legate a una vera dissociazione dall’organizzazione mafiosa, per cui non può operarsi un’automatica equiparazione tra assenza di collaborazione e permanere della pericolosità sociale.
Non a caso, nella motivazione della sentenza, la Cedu inizia con un excursus delle varie sentenze dei tribunali italiani sulla questione dell’ergastolo ostativo, tanto da citare il caso dell’ergastolano Sebastiano Cannizzaro, per cui la Cassazione ha rimesso, con ordinanza del 20 dicembre scorso, gli atti alla Corte Costituzionale sulla questione di legittimità dell’articolo 4 bis. Tale ordinanza della Cassazione relativa a Cannizzaro, assistito dall'avvocato Valerio Vianello Accorretti, accoglie quasi totalmente la questione del ricorrente, ovvero la sospetta incostituzionalità dell'art. 4bis per violazione degli art. 27, comma 3 e 117 Cost., in relazione proprio all’art. 3 della Convenzione Europea, ora riconosciuto violato dalla Corte Europea.
Come già annunciato da Il Dubbio, la Corte Costituzionale, il 22 ottobre dovrà decidere se disinnescare almeno parzialmente il meccanismo di preclusione all'accesso dei benefici di cui all'art. 4 bis. La sentenza della Corte Europea, quindi, offrirà sicuramente una grande sponda ai giudici della Consulta se avranno la volontà di decidere sull’illegittimità costituzionale dell’automatismo che preclude i benefici in mancanza di una condotta di collaborazione con la giustizia di cui all'art. 58 ter dell'ordinamento penitenziario. Lo ricorda anche l’associazione Nessuno tocchi Caino, da anni impegnata, con il Partito Radicale, per l’abolizione dell’ergastolo ostativo. «Il successo alla Corte Edu – commenta Sergio d’Elia, il Segretario di Nessuno tocchi Caino - è il preludio di quel che deve succedere alla Corte Costituzionale italiana che il 22 ottobre discuterà l'ergastolo ostativo a partire dal caso Cannizzaro, nel quale Nessuno tocchi Caino è stato ammesso come parte interveniente. Il pensiero non può non andare che a Marco Pannella, al suo Spes contra Spem, che ci ha animati e nutriti in questi anni, e ai detenuti di Opera protagonisti del docu- film di Ambrogio Crespi “Spes contra Spem- Liberi dentro” che contro ogni speranza sono stati speranza, con ciò liberando oltre che se stessi anche le menti dei giudici di Strasburgo».
Ma quali conseguenze avrà, di fatto, la decisione della Cedu? Improbabile che i legislatori vorranno mettere mano al 4 bis, visto l’affossamento parziale della riforma originaria dell’ordinamento penitenziario, che già era stata in parte disattesa dal governo precedente, quando non aveva preso in considerazione la completa riforma del 4 bis indicata dagli stati generali sull’esecuzione penale. Ma la sentenza della Cedu avrà come effetto innumerevoli ricorsi da parte dei cosiddetti “fratelli minori”, ovvero coloro che, pur non avendo mai personalmente ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, si trovano nell’identica posizione sostanziale del caso Viola. Di conseguenza la Cassazione si ritroverà sommersa di casi identici relativi alla preclusione automatica dell’accesso ai benefici. Questo, almeno fino a quando non ci sarà una sentenza della Corte Costituzionale che ne dichiarerà l’incostituzionalità. A quel punto, i legislatori saranno costretti a metterci mano.