È stato inserito nel decreto attuativo lo sbarramento delle misure alternative per alcuni reati commessi dai minori, ma la sentenza della Corte costituzionale l’aveva dichiarato illegittimo. Parliamo della sentenza della Consulta numero 90 del 2017 che ha dichiarato illegittima l’ipotesi ostativa alla sospensione dell’ordine di carcerazione nei confronti dei minorenni condannati per alcuni gravi delitti. C’è l’articolo 656 del codice di procedura penale, il quale prevede che, nell’ipotesi in cui la da scontare – anche ove costituisca residuo di maggior pena – rientri nei limiti previsti per le cosiddette pene detentive brevi, il pubblico ministero è tenuto a disporre, con decreto, la sospensione dell’esecuzione. Tale provvedimento è, però, escluso, ai sensi del comma 9 della medesima disposizione normativa, nei confronti delle persone condannate per i gravi delitti che rientrano nel 4 bis. Questo vale per i detenuti adulti, ma in mancanza di un ordinamento penitenziario minorile ( quello previsto dal decreto attuativo della riforma dell’ordinamento penitenziario), è stato applicato anche nei confronti delle persone non ancora diciottenni al momento della commissione del fatto. La Consulta ha bocciato tale provvedimento. L’esigenza di prevedere un trattamento differenziato dell’imputato minorenne discende diret- tamente dalla Costituzione: l’art. 31, comma 2 della Carta fondamentale dispone, infatti, che lo Stato italiano «protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo». Questa sentenza, in realtà, è stata una delle tante pronunce rese dalla Corte costituzionale in tema di esecuzione penale minorile. Numerosi sono, infatti, gli interventi operati dalla Consulta che hanno tentato di sopperire alle mancanze del legislatore, onde assicurare un effettivo adeguamento del trattamento del minore condannato alle esigenze di recupero e di rieducazione, stabilite a livello costitusanzione zionale. Ecco perché si era reso ancora più importante l’approvazione di un’apposita normativa in tema di ordinamento penitenziario minorile. Tra i diversi decreti attuativi, è importate rivelare quello concernente l’adeguamento «delle norme dell’ordinamento penitenziario alle esigenze educative dei detenuti minori di età». In tale contesto, i criteri che erano stati recepiti dal legislatore delegato attengono, anzitutto, alla necessaria specializzazione degli organi giurisdizionali: la competenza nell’ambito dell’esecuzione penitenziaria dovrà, infatti, essere affidata al Tribunale per i minorenni. Altrettanto importanti risultano le indicazioni concernenti gli istituti penali minorili, i quali dovranno essere organizzati in modo da favorire la socializzazione, la responsabilizzazione e la promozione della persona. Onde favorire la rieducazione del minore e il suo reinserimento sociale si era disposto, inoltre, che il trattamento penitenziario si fondi sull’istruzione e sulla formazione professionale, nonché che siano rafforzati i contatti tra i detenuti e il mondo esterno.

Il profilo costituente il cuore del futuro intervento normativo attiene, però, alla previsione di apposite misure alternative, che siano confacenti alle istanze educative del condannato minorenne. Al fine di garantire l’effettiva preminenza della funzione di recupero del minore rispetto alla pretesa punitiva dello Stato, la legge di riforma prescrive che siano ampliati i criteri per l’accesso a tali misure, privilegiando, in proposito, l’affidamento in prova ai servizi sociali e la semilibertà. Recependo i principi espressi dalla giurisprudenza costituzionale e valorizzando l’individualizzazione del trattamento, si era incaricato, poi, il legislatore di eliminare qualsiasi «automatismo e preclusione per la revoca o per la concessione dei benefìci penitenziari», analogamente a quanto indicato anche dalla delega per gli adulti. Così in effetti fu fatto: il decreto attuativo relativo all’ordinamento penitenziario minorile si era attenuto a queste disposizioni. Ma, notizia riportata ieri su Il Dubbio, il testo in esame alle attuali commissioni Giustizia, risulta snaturato con la reintroduzione del 4 bis e il limite ai benefici: va contro la legge delega, ma anche contro la Consulta che ne ha dichiarato l’illegittimità.