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Cedu, Corte europea dei diritti umani
Le intercettazioni che riguardano un politico, anche se non ha commesso alcun reato, possono essere rese pubbliche. E anche se ciò ha ripercussioni sulla sua reputazione, poco importa: la vita dei personaggi pubblici può finire sui giornali. Si potrebbe sintetizzare così la decisione assunta dai giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo lo scorso 14 giugno, quando hanno respinto il ricorso presentato da Algirdas Butkevicius, Primo ministro della Lituania dal dicembre 2012 al dicembre 2016. Il caso riguardava una conversazione telefonica tra Butkevicius e un sindaco, intercettata nel corso di un'indagine preliminare su una possibile corruzione in relazione alla pianificazione territoriale. Durante quella conversazione Butkevicius discusse brevemente dell’adozione di una risoluzione del governo, che avrebbe revocato, per alcune zone, lo status di territorio protetto; risoluzione della quale il sindaco discusse anche con ministri e altri funzionari statali. La risoluzione fu poi adottata il 23 settembre 2015, ma sette settimane dopo il Parlamento lituano ha incaricato la propria Commissione Anticorruzione di condurre un'indagine parlamentare sulle circostanze che avevano portato all’adozione di tale documento. Nel frattempo, a febbraio 2016, l'indagine è stata archiviata in quanto non era stato ravvisato alcun reato. Il pubblico ministero ha dunque informato la Commissione, alla quale ha inoltrato il materiale dell'indagine, ma senza specificare che gli atti non potevano essere divulgati. Così, tutto è stato reso pubblico durante una seduta della Commissione, alla presenza di una ventina di giornalisti, una delle quali ha poi riportato stralci di quella conversazione in un articolo dal titolo “Quasi la metà del governo, compreso il Primo ministro, ballava al ritmo della musica suonata dal sindaco”. Quell’articolo fu poi ripreso da altri quotidiani e dalle tv, suscitando polemiche e commenti negativi sui politici coinvolti. La Cedu, pur riconoscendo che la reputazione di Butkevicius è stata lesa dalla divulgazione di quell’intercettazione, ha respinto il ricorso, sostenendo l’assenza di prove che il danno subito fosse tale da poter parlare di «un'ingerenza sproporzionata nei confronti dei suoi diritti garantiti dall'articolo 8 del Convenzione». Nulla a che vedere con la libertà di stampa - mai contestata dal politico, che ha invece chiesto di indagare su chi avesse reso disponibili quelle informazioni -, bensì con il suo diritto alla riservatezza, “meno uguale” rispetto a quello degli altri cittadini. La Cedu ha infatti ribadito «l'importanza del controllo pubblico nei casi di possibile corruzione politica», ricordando una pronuncia della Corte Costituzionale, secondo cui le caratteristiche personali e il comportamento delle persone che partecipano ad attività sociali e politiche, oltre ad alcune circostanze della loro vita privata, possono essere importanti per questioni pubbliche. «Inutile dire che i criteri relativi alla reputazione svolgono un ruolo importante nella vita di un politico - recita la sentenza -. Comunque sia, (Butkevicius, ndr) non ha indicato alcuna ripercussione concreta e tangibile che la divulgazione da parte dei media della conversazione telefonica aveva avuto sulla sua vita privata, tanto più che non era stato condannato per nulla e la Commissione etica non ha stabilito nulla di immorale nelle azioni delle persone» coinvolte inizialmente nell’indagine. Fatto che avrebbe «alleviato in una certa misura la situazione della ricorrente». Insomma, è bastato non avere conseguenze sul piano penale o etico per poter ritenere la situazione a posto. Dopo la pubblicazione degli articoli, Butkevicius ha sporto denuncia, contestando innanzitutto la decisione del pm di consentire l'esame degli atti in un'audizione pubblica della Commissione, decisione contraria alle «disposizioni imperative del codice di procedura penale in merito al divieto di divulgare nel pubblico dominio le informazioni raccolte durante le indagini preliminari». L'articolo 177 del codice di procedura penale vietava infatti esplicitamente «la divulgazione di materiale istruttorio in assenza di autorizzazione del pubblico ministero», autorizzazione che non c’era stata. Inoltre, l'articolo 161 del codice «imponeva l'immediata distruzione di tutte le informazioni raccolte sulla vita privata di una persona al termine del procedimento penale». Eppure, nonostante nessuno fosse stato, infine, accusato di un qualche reato, le informazioni erano state rese pubbliche, secondo l’ex premier lituano «a scopo di lucro politico, per danneggiarlo come persona, dal Partito socialdemocratico e dal governo». Ma non solo: Butkevicius contestava al governo anche di non aver chiarito in che modo la diffusione di quella conversazione telefonica avesse aiutato o avrebbe potuto aiutare a prevenire la criminalità o a proteggere i diritti e le libertà altrui, poiché non era mai stato un sospettato nel procedimento penale. Insomma, non era in discussione l’attività intercettiva in sé e per sé, ma per Butkevicius (che non era stato informato su nulla) la Commissione avrebbe quantomeno potuto analizzare gli atti in un’audizione a porte chiuse. I giudici lituani hanno però dato torto all’ex premier, sottolineando che tutte le persone coinvolte «erano state figure pubbliche e che l'attività professionale dei funzionari statali e comunali è sempre stata considerata di natura pubblica». E anche se la reputazione di Butkevicius tra i suoi colleghi «era stata intaccata», per la Cedu «non vi sono motivi di fatto, per non parlare di prove, per indicare che sia stato pregiudicato in misura sproporzionata».