Se uno ascolta un passaggio dell’intervento di Alfonso Bonafede nella puntata di Porta a porta andata in onda giovedì sera, può anche essere tratto in inganno. Perché il ministro della Giustizia lascia intravedere un quadro rasserenante, da ordinaria amministrazione riformatrice: «Avevamo un disegno di legge sul Csm già pronto, sostenuto dal consenso dell’intera maggioranza. Poi è arrivata l’emergenza coronavirus...». Della serie: il testo è lì, appena il Parlamento sarà libero da incombenze terrificanti come la manovra fin- du- monde del Dl Rilancio lo si potrà esaminare. Ma il quadro è assai meno rilassante, per le strutture che sorreggono Palazzo dei Marescialli. Quello in arrivo si annuncia come un intervento legislativo che rischia di scuoterle dalle fondamenta. E che forse non vedrà rispolverata la poco costituzionale ipotesi del sorteggio, ma che potrebbe essere rivisto, rispetto alla riforma già pronta a Capodanno, con un sistema elettorale comunque molto “severo” con le correnti.

E la svolta sulla giustizia che si annusa nelle ultime ore. Soprattutto dopo il quasi- sfogo del guardasigilli alla Rai e le successive, esplicite parole con cui ieri gli ha fatto eco Andrea Orlando: premette, il predecessore di Bonafede a via Arenula, che nella chat delle toghe antisalvini «si valutano questioni di carattere generale», e che non era animata dai magistrati chiamati a decidere sull’ex ministro dell’Interno. Però, per Orlando, quelle considerazioni, diciamo così, insolite, offrono comunque «uno spaccato non particolarmente bello» E quindi: «Io credo che ci sia da fare una seria riflessione, e su questo sono d’accordo con Salvini, su come riformare il Csm. Ci sono dei meccanismi emersi che vanno affrontati».

Non serve altro per capire che la prospettiva di rivoltare Palazzo dei Marescialli come un calzino è il nuovo evidente punto di coesione della maggioranza sulla giustizia. Non si tratterà oltretutto solo di stabilire un “meccanismo”, tanto per usare una parola di Orlando, in grado per esempio di favorire l’elezione al Consiglio superiore di giudici che non sono proprio capilista delle correnti ma godono di molta stima fra i colleghi del distretto. Ecco, non si tratterà solo di questo anche nel senso che Bonafede ha ribadito, sempre giovedì sera, pure la necessità di «stabilire un confine netto fra toghe e politica». Allusione riferibile agli ormai rari esemplari di pm passati al Parlamento, ma anche agli incarichi fuori ruolo. E qui il ministro troverà non solo l’entusiasmo di Pd, Italia viva e Leu, ma pure quello di Forza Italia, che sul punto ha già presentato un’interrogazione, a firma Zanettin. E persino Fratelli d’Italia rischia di dare disponibilità alla crociata, se si considera che il capogruppo alla Camera Francesco Lollobrigida ieri ha tuonato contro «le correnti che mercanteggiano sulle nomine».

Ecco, se si voleva comprendere fino a che punto sarebbero stati nefasti per la magistratura i trailer del film “Caso Palamara: il sequel”, se ne può avere assaggio bastevole dal quadro di cui sopra. Va detta una cosa: la vendetta tremenda vendetta contro le toghe che si scambiano troppi favori - prima, durante e dopo la consiliatura di cui ha fatto parte Luca Palamara capita a fagiolo. Perché aiuterà la maggioranza a mettere un po’ da parte l’altro tema hot, la prescrizione. Solo tre giorni fa, nel suo intervento al Senato, Bonafede aveva assicurato il via libera all’organismo chiesto da Renzi, sui «tempi del processo», eventualmente alterati dalla prescrizione e dalla riforma penale prossima (?) ventura. Poi il giorno dopo, cioè sempre nella puntata di giovedì del talk di Bruno Vespa, ha detto che della commissione farà sicuramente parte «Gian Domenico Caiazzza», il presidente dell’Unione Camere penali che Matteo vorrebbe alla guida della task force ministeriale. Non è che il ministro abbia escluso di poter acconsentire alla richiesta dell’ex premier. Il punto è che ha lasciato chiaramente intendere come per lui la commissione dovrà avere un obiettivo, e basta: compiere un «monitoraggio». Il che ovviamente non è certo sufficiente a convincere il leader dei penalisti italiani sull’utilità dell’impressa (come si riporta anche in altro servizio dell’edizione di ogginda).

Non solo, perché anche se ieri Orlando ha sfottuto Renzi con l’appellativo di «ragazzo duttile», in particolare sulla giustizia, il capo di Italia viva non potrà certo innalzare la commissione come la coppa del mondo. Scrive sulla e- nwes che su Bonafede ha scelto di mettere «il bene del Paese» avanti a tutto. E allora non ci sarà niente di meglio che ripiegare sulla riforma del Csm. Dove la vittima sacrificale, almeno, dovrà essere l’associazionismo giudiziario e non il principio del giusto processo.