Appalti pilotati, sospetto di una inquietante rete parallela, falle nel sistema, spese abnormi, distorsioni delle trascrizioni e condanne dalla corte europea. Parliamo delle intercettazioni telefoniche e ambientali utilizzate dalle procure durante le indagini. Notizia recente è l’assoluzione di Pietro Paolo Melis, l’allevatore sardo che ha scontato 19 anni di galera da innocente: ad incastrarlo per il sequestro di Vanna Licheri era stata una intercettazione ambientale dove erroneamente la perizia fonica riconobbe la voce dell’imputato. Ai giorni nostri non c’è processo, di una certa rilevanza, nel quale le intercettazioni telefoniche e/o ambientali non la facciano da padrone. In questo contesto molto spesso si parla di abuso delle intercettazioni volendo con ciò indicare una presunta leggerezza della autorità giudiziaria nel gestire questo strumento investigativo.In ogni caso, e comunque la si pensi, sta di fatto che le intercettazioni delle comunicazioni costituiscono uno strumento di indagine assolutamente irrinunciabile pur con il rischio di distorsioni e/o abusi. La distorsione di questo utilizzo non è rara. Secondo le stime degli esperti (un registro delle perizie non esiste), i periti fonici intervengono in centinaia di processi l’anno. Vengono scelti dalla procura e si chiede loro di identificare interlocutori anonimi intercettati, di verificare l’autenticità delle registrazioni, di trascrivere le intercettazioni. Ed è proprio la semplice trascrizione che presenta delle falle non di poco conto e che possono portare alla condanna di persone innocenti.L’inaffidabilità: il caso Lady AslOltre all’ultimo fatto di malagiustizia riguardante l’allevatore sardo, c’è un caso esemplare che riguarda l’intercettazione ambientale che portò all’arresto nel 2010 dell’ex direttrice generale della Asl Bari Lea Cosentino, soprannominata dalla stampa “Lady Asl”. Dai periti nominati dalla procura ci fu una trascrizione completamente stravolta: in quella conversazione tra Lea Cosentino e Nettis, stando alla trascrizione dell’intercettazione ambientale fatta dal consulente della Procura e confermata nella perizia disposta dal giudice del processo, Lady Asl avrebbe detto «li prendiamo per fessi a tutti e due». Questa frase è riportata anche nell’ ordinanza d’arresto del 14 gennaio 2010. Nel provvedimento cautelare il gip scriveva che questa «locuzione semantica» che si riferisce «agli altri candidati è evidente indice rivelatore della pericolosità della Cosentino».Dopo quattro mesi trascorsi agli arresti domiciliari, il rinvio a giudizio e l’avvio del processo dinanzi ai giudici della prima sezione penale del Tribunale di Bari, «nella certezza che non avessi mai pronunciato tale frase» Lea Cosentino decise di presentare denuncia, chiese ed ottenne copia del supporto informatico contenente l’intercettazione, e affidò a due tecnici la consulenza fonico-trascrittiva. «La firmiamo perché evitiamo tutti i problemi» avrebbe detto Cosentino a Nettis, invece della frase riportata nel provvedimento restrittivo. A rischiare il processo è Giovanni Leo, il perito nominato dal Tribunale di Bari con l’incarico di trascrivere le intercettazioni alla base dell’inchiesta. Per Paolo Tauro, consulente nominato dal pm, c’è l’archiviazione perché è impossibile dimostrare un comportamento doloso da parte del consulente della procura. Discorso diverso per il perito del Tribunale: riascoltando le intercettazione, avrebbe dovuto accorgersi dell’errore.Non sono questi casi rari, tant’è vero che gli esperti in fonetica forense sono preoccupati per la qualità delle perizie usate nei processi, un problema aggravato dalla mancanza di un albo di esperti accreditati. «La confusione regna sovrana: nei tribunali si vedono ipotesi di lavoro ridicole», denunciava mesi fa Andrea Paoloni, ricercatore presso la Fondazione Ugo Bordoni e patriarca della fonetica forense italiana, scomparso nel novembre 2015. Non mancano casi di errata traduzione dialettale. In un’intercettazione, alcuni calabresi parlavano di «granate»: il perito pensava fossero «bombe», ma si riferivano a «melograni», in dialetto. Oppure casi gravissimi come l’arresto di uno spagnolo che faceva il lava macchine, ma fu scambiato come il capo di un giro di narcotrafficanti e fu rinchiuso, da innocente, per due anni nel carcere di Poggioreale. Il motivo? Il perito tecnico scelto dalla Procura aveva identificato la sua voce nell’intercettazione ambientale di un narcotrafficante: solo dopo due anni di carcere e altre decine di perizie, il giudice potè rendersi conto che la voce non era di quello spagnolo. C’è un grave problema legato alla sacralizzazione delle intercettazioni. Non è infallibile la tecnica, per questo non potrà mai essere la prova decisiva. Soprattutto perché, come abbiamo visto, è soggetta ad errori e interpretazioni soggettive che variano da perito a perito.Appalti pilotati: un processoC’è una strana storia che per qualche oscura ragione non è mai stata divulgata al momento degli arresti. Il 18 Maggio scorso, durante la seconda udienza di un processo che si celebra avanti al tribunale monocratico di Pescara, si svela uno scenario inquietante. Si tratterebbe di un appalto pilotato dentro la procura, al quinto piano dove ci sono gli uffici del procuratore di Pescara da una parte e la sala intercettazione dall’altra.L’ipotesi investigativa però non mette sotto accusa la procura, ma un capo cancelliere responsabile della tecnostruttura e della parte amministrativa degli uffici giudiziari. L’ipotesi è quella di aver favorito, e dunque pilotato, un appalto per l’affidamento del servizio di intercettazione ambientale. Il capo di imputazione parla di «turbata libertà del procedimento di scelta del contraente», perché, secondo l’accusa, nel settembre del 2012 avrebbe pilotato un appalto per la gestione delle intercettazioni ambientali e telematiche a favore della società Ips Spa di Aprilia, estranea ai fatti. I cronisti del sito giornalistico abruzzese “primadinoi” hanno riportato ciò che è avvenuto durante l’udienza. In pratica sono stati ascoltati i sette testimoni dell’accusa: il vice questore aggiunto Dante Cosentino, che ha riferito brevemente sulle modalità delle indagini; l’amministratore delegato, il responsabile commerciale e i collaboratori della Ips Spa, che hanno spiegato come la ditta vincitrice dell’appalto del 2012 avesse svolto altri servizi nello stesso ambito, per la Procura pescarese, attraverso i consulenti esterni Danilo Alonzi e Antonio Fiorentino.Tra i testimoni anche Antonio Smerilli, all’epoca dirigente della segreteria e creatore della tecnostruttura, oggi collaboratore e consulente del presidente della Regione, Luciano D’Alfonso.Smerilli ha riferito che «nel giugno del 2012, a causa di un grave disservizio, venne sollevata dall’incarico la società che fino a quel momento si era occupata della gestione delle intercettazioni ambientali e telematiche, e si rese necessaria l’indizione di una gara per affidare l’incarico ad una nuova ditta».Secondo il legale dell’imputato, l’avvocato Giuliano Milia, venne avviata una sorta di operazione "trasparenza", attraverso la definizione di 11 criteri tecnici con relativi punteggi, per individuare le condizioni migliori, nell’ambito di una decina di ditte contattate e interessate a presentare un’offerta.La proposta dell’Ips Spa sarebbe risultata quella più adeguata alle esigenze della Procura, ma dopo la convenzione stipulata con l’azienda di Aprilia e sottoscritta anche da un magistrato, alcune delle ditte escluse si sarebbero lamentate, telefonicamente e con segnalazioni scritte. L’udienza è stata aggiornata al prossimo 20 gennaio per ascoltare tre testimoni della difesa.Perché non c’è un unico gestoreMa pilotare gli appalti sulle intercettazioni, risulta così difficile? La risposta è no, anche perché le procure non effettuano dei veri e propri bandi di gara e per questo l’Italia è stata bacchettata dalla Commissione Europea: a giugno del 2012 la commissione ha avviato una procedura di infrazione all’Italia per violazione della direttiva 2004/18/CE sugli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, da parte del regime italiano di assegnazione di contratti nel campo delle intercettazioni telefoniche e ambientali. In pratica non esiste una regolamentazione sugli appalti e in teoria un pm può assegnare l’appalto a chi vuole. Per questo motivo l’ex ministro della giustizia Severino aveva emanato una direttiva affinché si svolgesse una gara nazionale unica che affidasse a un solo gestore l’hardware delle sale d’ascolto di tutte e 166 le procure. Il problema è che ogni anno ne è stata rinviata l’attuazione. Dal ministero della Giustizia risulta che c’è un ennesimo rinvio all’estate dell’anno prossimo. Al momento ogni procura della Repubblica, con metodologie diverse e in assenza di una specifica normativa, sceglie a quale società affidarsi per noleggiare gli apparati necessari a compiere le operazioni di ascolto. Solo alcune procure (Napoli, Catania, Roma, Milano, Torino e Palermo) hanno scelto una gara d’appalto, le altre procedono con affidamenti diretti. Le società leader del settore sono una manciata: Area Spa, Innova Spa, Rcs Spa, Sio Spa, Rt Radio Trevisan Spa, Urmet sistemi Spa. E i costi sono salatissimi. Il bilancio del 2015, riguardo tutto l’apparato giudiziario, è di oltre un miliardo di euro, le spese per le intercettazioni sono le più alte e riguardano il 20 per cento del totale superando la somma di oltre 200 milioni di euro. Ma questa somma va aggiunta anche al debito nei confronti delle aziende private che supera i cento milioni di euro.I rapporti con Al AssadLe frontiere tra intercettazioni telefoniche e ambientali sono saltate: oggi quasi tutte le microspie hanno incorporata una scheda sim collegata a una linea telefonica.Il sistema più usato dalle Procure per l`intercettazione è il sistema Mcr: una sorta di grande orecchio che consente la registrazione, l’analisi e la gestione di contenuti provenienti da qualsiasi fonte, che sia telefonica o telematica.Questa montagna di informazioni sensibili viene gestita interamente da archivi informatici di privati: le centrali informatiche di queste società possono controllare visivamente l’intero sistema e intervenire su eventuali mal funzionamenti, correggendo l’errore. Quindi in buona sostanza le società private hanno accesso all’intero pacchetto dei dati intercettati.Si apre quindi uno scenario che alimenta quell’area grigia del sistema informatico e telefonico legato alle intercettazioni: se le società di telefonia agiscono sempre sotto la richiesta formale degli inquirenti istituzionali, è pur vero che basta un “gancio” all’interno di esse per poter effettuare le intercettazioni al di fuori del controllo del magistrato, cioè illegalmente.Parliamo di privati, e quindi può capitare che le stesse società che lavorano per le Procure, nello stesso tempo lavorino anche per le dittature sanguinarie.In una inchiesta condotta dalla giornalista dell’<+corsivo_giust>Espresso<+tondo_giust> Giovanna Locatelli, siamo venuti a conoscenza che nel dicembre del 2008 il debito maturato dallo Stato italiano nei confronti di tre società che lavorano nel settore delle intercettazioni era arrivato a 140 milioni di euro. Si trattava di Research Control Systems, Area Spa e Sio Spa. Ditte lombarde che gestiscono nella Penisola oltre il 70 per cento del mercato delle intercettazioni telefoniche e ambientali.Il debitore, lo Stato, era anche il loro unico cliente. È allora che Area spa si affaccia al mercato estero, cercando nuovi contratti di lavoro. Nel 2009 vince una gara d’appalto internazionale con la Siria di Assad, indetta dal gestore telefonico statale - e principale operatore - Syrian Telecommunication Establishment.Il contratto stipulato riguardava le intercettazioni delle e-mail e del traffico su internet nel Paese Mediorientale.L’accordo è del valore di 13 milioni di euro circa. Per il progetto, altamente invasivo e complesso, si utilizzarono hardware e software provenienti da altre tre società occidentali: la californiana Net App Inc., la francese Qosmos SA, e la tedesca Utimaco Safeware. Ognuna delle quali leader, a livello internazionale, nel settore della sorveglianza elettronica. Nel 2010 gli ingegneri informatici italiani erano al lavoro per la Siria e nel febbraio 2011 arrivarono a Damasco gli equipaggiamenti elettronici.Il mese dopo iniziò la rivoluzione siriana con tanto di repressione e il 30 marzo ingegneri e tecnici della società tricolore si trovarono a Damasco per far funzionare il sofisticato macchinario. Qualcosa però andò storto grazie all’inchiesta giornalistica dell`agenzia americana “Bloomberg” che scoperchiò gli accordi e rivelò tutti i dettagli e i retroscena relativi al progetto, compresa la presenza degli ingegneri italiani a Damasco durante la repressione di Bashar Al Assad contro i civili. A questo punto le compagnie Qosmos e Ultimaco fecero un passo indietro, dichiarando di abbandonare il progetto. Nell’ottobre 2011 anche il rapporto tra Area spa e la Siria saltò per gli stessi motivi. Area non è stata l’unica società italiana ad aver collaborato con i Paesi “caldi” del vicino Oriente. La società con sede a Milano, Hacking Team, era attiva anch’essa in Medio Oriente e Africa durante le rivoluzioni della “primavera araba” e vide in quella Regione un importante fetta del suo mercato, come emerge dal bilancio dell’azienda chiuso il 31 dicembre 2010. Nel documento si legge: «Dopo la chiusura dell’esercizio sono avvenuti i seguenti elementi rilevanti: è stato completato l’inserimento di un commerciale dedicato per l’area Middle East e Africa nel mese di gennaio (2011), e al contempo sono state avviate le attività di ricerca di due sviluppatori e un addetto pre-sales entro il 2011».