E se i servizi segreti di Assad e le Procure italiane si servissero della stessa azienda per gestire il servizio delle intercettazioni? La notizia, anticipata da Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera, prende piede da un'inchiesta a carico di Andrea Formenti, presidente e socio unico di Area, la società che si occupa delle intercettazioni ordinate da oltre 100 uffici giudiziari italiani. Il gip di Milano ha ordinato il sequestro di 7,7 milioni sui conti della società e l'ipotesi dell'accusa è la violazione dell'embargo comunitario per la vendita di tecnologie informatiche alla Siria.I filoni dell'inchiesta sono due. Il primo nasce da lontano ed era già stato rivelato dall'agenzia Bloomberg: tra il 2010 e il 2011 Area avrebbe esportato in Siria - dietro compenso di 13 milioni di euro - un software per monitorare telefonate e traffico web degli oppositori del regime. Il servizio sarebbe stato ufficialmente acquistato dall'agenzia di telecomunicazione statale, la Syrian Telecommunication Establishment, ma - secondo gli inquirenti - la società di Formenti era al corrente del fatto che, in realtà, i software sarebbero stati utilizzati dai servizi segreti del governo. Il prodotto tecnologico fornito, infatti, può essere utilizzato per un "duplice uso", sia civile che militare. Il tutto, inoltre, sarebbe avvenuto senza le autorizzazioni di legge: in un primo periodo aggirando i controlli doganali, poi con un'autorizzazione del ministero dello Sviluppo ma ottenuta con dichiarazioni fraudolente. Secondo le rivelazioni di un ex manager di Area, Formenti avrebbe spiegato, per liquidare qualsiasi remora di carattere etico, che «Area è come una fabbrica di coltelli e i coltelli possono essere usati in cucina come per uccidere persone». In buona sostanza, Area fornisce software utilizzabili in modo proprio (le intercettazioni della Procura) ma anche improprio (i servizi segreti siriani contro gli oppositori). La ricostruzione dei pm procura è stata smentita dalla difesa di Area che, pur ammettendo di avere rapporti economici in Siria, ha definito «insussistenti le accuse» e dato la sua disponibilità a collaborare.Un secondo fronte dell'inchiesta, invece, si è aperto con la scoperta da parte dei pm di Trieste di migliaia di intercettazioni provenienti da 14 Procure italiane e archiviate nel computer di una addetta all'help desk della sede di Area a Malpensa. Il reato ipotizzato a carico della dipendente e dell'amministratore delegato della società è accesso informatico abusivo: Area, infatti, lavora in appalto per la gestione delle intercettazioni sul territorio nazionale, ma l'azienda non dovrebbe avere copia dei file, che dovrebbero "risiedere" fisicamente solo sui server delle Procure. Sui pc aziendali è stato anche ritrovato un programma illegale, in grado di recuperare in qualsiasi momento le intercettazioni in corso e di trascriverle. In questi giorni, dunque, la Procura friulana ha copiato i contenuti dei 20 terminali della sede della società, con l'obiettivo di scoprire se Area abbia creato illegalmente una sorta di banca dati privata delle intercettazioni che gestisce per conto degli uffici giudiziari.A monte di inchieste come questa, emerge uno dei problemi più pressanti dell'attuale normativa sulle intercettazioni: la mancanza di previsioni di legge aggiornate e organiche, che consentano di regolare sì l'utilizzo delle intercettazioni, ma anche i soggetti idonei a gestire tecnicamente il servizio. Il pacchetto di norme - nelle quali è compresa anche la disciplina dei software spia Trojan Horse - è contenuto nel progetto di riforma del processo penale: un disegno di legge omnicomprensivo ma, soprattutto, dall'inter di approvazione incerto e accidentato, visti i profili delicati che contiene (non solo le intercettazioni ma anche la prescrizione). Proprio sul Trojan Horse, infatti, il disegno di legge fermo al Senato prevede una delega governativa al ministero della Giustizia, che detti i principi per la scelta dei provider del nuovo sistema di captazione. In assenza del decreto, però, si ripropone la questione dell'assenza di norme certe per regolare la gestione del servizio e i conseguenti dubbi sulla sua opacità. L'unico elemento certo, di contro, è che quello che la gestione informatica delle intercettazioni è un business capace di far gola a molti e di pesare sulle casse statali (e nei conti dei privati che li incassano) per circa 250 milioni di euro l'anno.