«Il nostro sistema giuridico ha previsto strumenti normativi in grado di contemperare sia il principio di effettività della pena e sia il principio che vieta trattamenti penitenziari contrari al senso di umanità», dichiara Alberto Liguori, procuratore di Terni ed ex magistrato di sorveglianza inCalabria, a proposito delle polemiche per le scarcerazioni di alcuni boss mafiosi che hanno costretto alle dimissioni il capo del Dap Francesco Basentini.

«In occasione di scarcerazioni di noti boss o di autori di reati “odiosi” i riflettori dei mass media si accendono sul mondo penitenziario», premette Liguori, con conseguente anticipazione di «giudizi e responsabilità, senza indagare sullo “stato dell’arte”, preferendo dare risalto a iniziative ispettive, a misure riparatorie - non si comprende a fronte di quali omissioni giudiziarie - quali quelle di assegnare maggior peso, da qui in avanti, alle Procure Antimafia, facendole apparire involontariamente contrapposte alla magistratura di sorveglianza».

L’emergenza Covid-19 ha amplificato i numerosi problemi del sistema penitenziario, ad iniziare da quello - annoso - del sovraffollamento. Tutti i protagonisti chiamati a governare il settore della giustiziapenitenziaria devono essere consapevoli, ricorda Liguori, che per farlo funzionare in modo efficace servono scelte «chiare e leggibili afl’esterno per approdare ad una espiazione della pena che garantisca anche la sicurezza sanitaria e che, nel contempo, venga compresa e accettata dalla comunità, vera parte offesa di tutti i reati commessi». «Il legislatore - continua il procuratore di Terni - deve spiegare che l’indulto non equivale ad un fuori tutti ma è l’unico strumento in grado di garantire ai detenuti per reati di non grave allarme sociale (di solito con un fine pena sotto i due anni) e che si trovino ad espiare la pena in condizioni disumane di essere scarcerati, impedendo di contro a boss e detenuti al 41 bis e comunque a soggetti portatori di elevata pericolosità sociale di potersene avvantaggiare». «L’amministrazione penitenziaria prosegue - ha il dovere di relazionare all’autorità giudiziaria in maniera es austiva fornendo le informazioni in tempo reale, anche di natura logistica, per eventuale accesso del detenuto malato in circuiti sanitari peniten- ziari altamente specializzati». «L’autorità di polizia ha il dovere di curare le informative sulla pericolosità sociale documentandole e attualizzandole», conclude il ragionamento Liguori.

Solo in questo modo, «il magistrato di sorveglianza, raccolte tutte le informazioni, potrà accedere a scelte maggiormente aderenti ai principi costituzionali, potendo confidare in un reale e leale rapporto di collaborazione tra le istituzioni per un fine comune che è quello di coniugare sicurezza sociale e sicurezza sanitaria». Evitando, dunque, il ripetersi di “cortocircuiti” informativi come invece accaduto nel caso del boss Zagaria dove il Dap non aveva risposto alle richieste del magistrato di sorveglianza di Sassari. Nel caso di detenuti affetti da patologie in regime di 41 bis, in particolare, il magistrato di sorveglianzapotràdisporre «laprosecuzione della pena in carcere laddove il quadro clinico del paziente sia fronteggiabile all’interno delle strutture sanitarie penitenziarie che garantiscono assistenza intensiva», oppure «la prosecuzione della pena nella forma alternativa della deten- zione domiciliare sanitaria laddove le condizioni di salute non siano fronteggiabili in circuiti sanitari penitenziari e la sua pericolosità sociale sia scemata», o «la scarcerazione laddove sia stata accertata la mancanza di attuali collegamenti con la criminalità organizzata e le sue condizioni di salute non siano fronteggiabili in circuiti sanitari penitenziari».

Un simile percorso è poi linea con quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza 256 del 2019, sul cd ergastolo ostativo, a proposito di regime probatorio rafforzato per il magistrato di sorveglianza.

«Lo “svuota carceri” è sicuramente uno strumento di civiltà che, comunque, deve essere praticato caso per caso tenendo in debito conto anche l’eventuale dose di pericolosità sociale di cui è ancora eventualmente portatore il paziente - detenuto», conclude Liguori, invitando tutti a non dimenticare che il magistrato di sorveglianza sul rinvio dell’esecuzione della pena per motivi salute agisce sempre «d’urgenza» e in funzione monocratica, assumendosi pertando una grande responsabilità.