Il confronto avvenuto domenica scorsa nello studio di Lucia Annunziata su Rai Tre fra il ministro della Giustizia Andrea Orlando e il presidente dell'Associazione nazionale magistrati Piercamillo Davigo ha permesso di cogliere il vero motivo che si cela dietro la rivolta togata contro l'approvazione della riforma penale. Il testo, che è stato originariamente impostato dalla commissione presieduta da Giovanni Canzio, contiene importanti modifiche al codice penale e a quello di procedura penale. Ma il nodo del contendere è l'articolo 18. Una coincidenza solo cabalistica perché non si tratta di licenziamenti, ma dell'obbligo per il pubblico ministero, una volta scaduti i termini per le indagini preliminari, di decidere se chiedere l'archiviazione o esercitare l'azione penale entro tre mesi, pena l'avocazione del fascicolo da parte della procura generale.Le altre osservazioni, prima fra tutte la scopertura degli organici, sembrano in realtà strumentali, utili per accusare il governo di non avere a cuore il settore giustizia. Ma domenica un Orlando in grande forma ha ricordato come le attuali norme sul pubblico impiego (riforma Brunetta del 2008 e riforma Madia del 2014) impediscano alle Amministrazioni statali di procedere a nuove assunzioni se prima non sono state esperite le procedure di mobilità. Nel caso di specie, è necessario assorbire il personale delle disciolte provincie e del corpo della croce rossa militare. Complessivamente diverse migliaia di unità che sono da mesi in attesa di ricollocamento. Nonostante ciò via Arenula ha comunque già fissata la data di pubblicazione di un bando di concorso per mille amministrativi.Il boccone amaro, dunque, è solo la scadenza temporale imposta ai pm.La norma in questione ha avuto il merito di squarciare un velo sull'anomalia, tutta italiana, dell'ufficio del pubblico ministero. Solo nel Belpaese, infatti, è presente un rito accusatorio dove il ruolo dell'accusa è svolto da un magistrato. Che, proprio perché magistrato, dovrebbe essere terzo e imparziale e non comportarsi, come accade di norma, da "avvocato dell'accusa".Il processo penale a modello accusatorio si accompagna, di norma, alla separazione delle carriere fra giudici e pm.Questa premessa è importante per comprendere come mai i pubblici ministeri siano saliti sulle barricate.Attualmente le indagini preliminari durano sei mesi. Che decorrono dal momento dell'iscrizione del nome della persona nel registro degli indagati. Prorogabili di altri sei mesi, previa richiesta del pm al giudice per le indagini preliminari. Si può arrivare ad un massimo di diciotto mesi. Per reati particolarmente gravi si arriva fino a due anni. Trascorsi i diciotto mesi, scatterebbero con la contestata riforma, i tre mesi per decidere se chiedere l'archiviazione o meno.I pm dicono che questo tempo è insufficiente perché "devono essere ancora svolti accertamenti, soprattutto se si è in presenza di intercettazioni telefoniche".La motivazione non ha fondamento. Per un motivo molto semplice. Le intercettazioni telefoniche, ogni 15 giorni devono essere prorogate. Se il pm vuole continuare ad intercettare deve richiedere la proroga al gip. Producendo le telefonate d'interesse investigativo per giustificare la prosecuzione dell'attività. E cosi per tutta la durata dell'attività intercettiva. Quindi, quando sono scaduti i termini delle indagini preliminari, il pm ha già tutto il materiare probatorio pronto. Le telefonate sono state già trascritte dalla polizia giudiziaria. Non deve fare più nulla. Altrimenti non si spiegherebbe come avrebbe fatto ad ottenere nel tempo le proroghe dal gip.Perché allora la "rivolta" togata, anzi, dei pm? Azzardiamo una risposta. Con i tempi contingentati, il pm sarebbe costretto a mettere subito sul tavolo le sue carte. Quindi si scoprirebbe se l'indagine è fondata oppure se è solo un teorema suggestivo, bello per essere raccontato sui media ma non davanti a un Tribunale. Un esempio recente è la vicenda della scienziata Ilaria Capua, poi assolta. Il procuratore aggiunto di Roma Giovanni Capaldo ha atteso anni prima di esercitare l'azione penale: iniziò le indagini nel 2005, le terminò nel 2007, richiese il rinvio a giudizio solo nel 2014. Con l'articolo 18 questa "stagionatura" del fascicolo non sarebbe stata possibile.Una annotazione. Non si comprende, poi, perché, mentre i giudici devono essere sanzionati dal Csm se ritardando solo di qualche mese il deposito di una sentenza, nessuna sanzione è prevista per un pm che tiene per anni sullo scaffale un suo procedimento. La sezione disciplinare del Csm, per quanto riguarda i ritardi, nel periodo ottobre 2014-settembre 2016, ha definito 72 posizioni: 44 condanne e 28 assoluzioni. Tutti giudici.L'attuale assetto della Giunta esecutiva centrale dell'Anm non depone, però, a favore del ministro Orlando. Tralasciando il presidente Davigo, che prima di finire in Cassazione è stato pm, sono pm anche gli altri due componenti di punta. Il segretario generale Francesco Minisci, uomo forte di Unicost, e Luca Poniz, pm a Milano in quota Area.Nelle prossime ore si saprà chi avrà avuto la meglio.