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Il carcere di Rossano
L'uso delle caserme dismesse per fini carcerari sta suscitando dibattiti sui giornali e controversie. Sulle pagine de Il Dubbio – in tempi non sospetti - è stato già scritto abbondantemente sull’impraticabilità di tale progetto. Tuttavia, l'attualità di questa tematica va oltre la semplice praticità dell'uso delle caserme dismesse e si estende alla discussione più ampia sull'efficacia delle nuove costruzioni carcerarie nell'affrontare il problema del sovraffollamento nelle carceri italiane. La realtà è che l'idea di costruire nuove carceri, indipendentemente dalla fattibilità pratica, non solo non risolve il problema del sovraffollamento, ma lo aumenta a dismisura.
Qui in Italia abbiamo la prova che nuove carceri contribuiscono ad aumentare il numero dei detenuti. Per comprendere questa dinamica, è sufficiente analizzare i dati storici. Tra il 1947 e il 1970, l'Italia ha assistito a una significativa diminuzione del numero di detenuti, passando da circa 65.000 prima della caduta del fascismo a 21.000 unità in un arco di venti anni. Tuttavia, dopo la fine degli anni 70, c'è stato un aumento di un terzo della popolazione carceraria, che è passata da 21.000 detenuti precedenti a diecimila in più nel giro di un brevissimo tempo Fino appunto ad arrivare al triplo nei recenti anni. Questo incremento sembra coincidere con l'era delle nuove costruzioni carcerarie tra il 1980 e il 1999. È interessante notare che molte di queste nuove strutture sono state erette in aree periferiche, come rivelato dal rapporto Antigone del 2017, e rappresentano addirittura il 40% delle strutture carcerarie attuali.
Sembra sorprendente che nel 1974 vi fossero solo 28.286 detenuti, per poi avere questo numero aumentato drasticamente nei decenni successivi. E questo nonostante che i dati Istat dimostrino una diminuzione dei reati rispetto a quegli anni. La questione cruciale diventa quindi: perché la costruzione di nuove carceri sembra equivalere a un aumento della carcerarizzazione? La costruzione di nuove strutture penitenziarie porta non a scoraggiare, ma al contrario a incentivare, l’emanazione di nuove norme penali carcerogene che, sulla scorta di una richiesta di penalità spesso indotta dalla paura creata dai media, aumentano la lunghezza della pena detentiva a dismisura. Il conseguente flusso di carcerati determinato da quelle norme penali riempie velocemente gli istituti di pena di recente costruzione, nei quali per principio o per necessità (stante il costante affollamento) ogni pratica di recupero del condannato è abbandonata.
Un esempio chiaro è il sistema delle Rems (Residenze per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza), che ha preso il posto dei famigerati ospedali psichiatrici giudiziari(Opg). Sebbene la chiusura di queste strutture fosse necessaria, l'effetto paradossale è stato l'aumento delle richieste di internamento nelle Rems, che a loro volta richiedono nuove strutture. I giudici, non avendo più gli scrupoli che giustamente potevano avere quando esistevano gli Opg, danno con facilità l’internamento presso le Rems (senza magari vagliare altre alternative): aumentano le richieste e di conseguenza c’è richiesta di nuove strutture. Se ne costruiranno altre, e i giudici saranno ancora più incentivati a emanare l’internamento. Questo modello può essere applicato anche alle carceri: l'espansione delle strutture carcerarie può indurre i giudici a pronunciare con facilità le sentenze detentive, contribuendo così a un circolo vizioso di carcerarizzazione di massa.
In conclusione, i dati storici e le dinamiche attuali suggeriscono che la costruzione di nuove carceri può avere l'effetto opposto a quello sperato: anziché risolvere il problema del sovraffollamento, può contribuire a una carcerarizzazione di massa. Le moderne politiche penali dovrebbero invece mirare a ridurre la dipendenza dal carcere, favorendo alternative penali e migliorando le condizioni di vita nelle carceri. Una riflessione approfondita su queste dinamiche è essenziale per garantire un sistema di giustizia penale equo ed efficace.