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La certezza della pena: la storia di S. B. dovrebbe far riflettere tutti quelli che la invocano come panacea dei mali che affliggono il sistema giudiziario italiano.
S. B è uno chef che ha appena compiuto 50 anni. Nato a Venezia, fin da giovane ha avuto una grande passione per la cucina, e ha lavorato in molti ristoranti in Italia e all’estero. Trasferitosi a Parma agli inizi del 2000, decide di fare il grande passo e di mettersi in proprio aprendo un ristorante di pesce nella patria del prosciutto e del parmigiano. Il successo è immediato. Nonostante il locale sempre pieno, come tutti gli chef, anche S. B. dopo qualche tempo sente il bisogno di rimettersi in gioco e di tentare l’avventura altrove. Nella primavera del 2011 la scelta dunque di vendere il locale di Parma per aprirne uno alle Cinque Terre. La trattativa si rivela alquanto complicata. L’acquirente, una donna della città emiliana, tergiversa, tratta sul prezzo, allunga i tempi. S. B ha invece fretta, avendo già versato un importante acconto per il nuovo ristorante in Liguria. Quei soldi sono quindi indispensabili. Una sera di giugno di quell’anno, quando sembra che finalmente tutto si è sistemato, la donna ci ripensa e si presenta nel ristorante per comunicarglielo. La discussione è molto accesa. Volano parole grosse. S. B. alza anche le mani. La donna esce dal locale e corre subito dai carabinieri. «S. B. l’ha violentata», scrivono i militari, allegando il referto del pronto soccorso che parla di «abrasione ad un braccio». Passano solo pochi giorni e S. B. si ritrova nel carcere di massima sicurezza di Parma. «Tentata violenza sessuale», l’accusa riportata sull’ordine di custodia cautelare.
Inutili i tentativi di difendersi. La parola della donna contro quella di S. B. E poi quel referto medico.
Dopo alcuni mesi trascorsi in carcere, i domiciliari. Poi l’obbligo di dimora. Finché agli inizi del 2012 S. B. è completamente libero. Il progetto di trasferirsi alle Cinque Terre è rimasto nella testa di S. B. ed è difficile rimanere a Parma dopo quanto successo. Il sogno di avere un locale nel frattempo è sfumato e i soldi dell’anticipo definitivamente persi. Arriva l’estate e S. B. riparte dalla cucina di un ristorante vicino al porto di La Spezia come aiuto cuoco con un contratto a chiamata. Le indagini si chiudono nel 2014. Il processo inizia l’anno dopo. Arriva la condanna in primo ed in secondo grado: 4 anni e mezzo. Nel frattempo S. B. si è sposato, ha comprato casa con un mutuo, ed è tornato a fare lo chef in un importante ristorante delle Cinque Terre. Ma agli inizi di quest’estate la Cassazione conferma la sentenza di condanna. Nonostante il “presofferto”, S. B. deve andare in carcere: i reati di violenza sessuale non ammettono la sospensione dell’ordine di esecuzione. I carabinieri lo vengono a prendere all’alba della scorsa settimana. Secondo la legge deve effettuare un percorso di rieducazione, dietro le sbarre. Anche se S. B. il percorso di rieducazione in questi anni l’ha già fatto da solo: si è sposato, ha rifatto la gavetta fino a guadagnarsi un lavoro a tempo indeterminato ( un miraggio di questi tempi), ha comprato casa. Ieri S. B. è stato licenziato: la moglie, a carico, sta cercando urgentemente lavoro. La richiesta alla banca di sospensione del mutuo verrà presentata oggi.
Ultima nota. Il ristorante in cui S. B. lavorava è rimasto senza chef proprio nel periodo clou della stagione.
La certezza della pena.