Ha trascorso circa 500 giorni in carcere da innocente, tutti in Alta Sicurezza; ha perso il lavoro di responsabile di una concessionaria di auto perché il proprietario, per il danno all'immagine causato dall'arresto di un suo dipendente, non gli ha rinnovato l'incarico; in carcere è stato colpito da depressione di forma bipolare, caratterizzata da dimagrimento, cefalee, insonnia (per questo l'ex deputata radicale Rita Bernardini presentò interrogazione parlamentare); è stato lasciato dalla sua compagna per colpa di tutta la situazione, la sua reputazione personale e professionale è stata lesa anche a causa di una feroce campagna mediatica. Nonostante questo, a Giancarlo Benedetti è stata rigettata dalla Corte di Appello di Roma l'istanza per riparare l'ingiusta detenzione. Facciamo un passo indietro per ricostruire la vicenda. Tutto parte da una indagine della Procura di Roma, Dda, su un gruppo di persone, ritenute vicine al clan dei Casalesi, accusate di una tentata operazione di riciclaggio per acquisire, mediante condotte estorsive, alcune quote societarie del presidente della Lazio Claudio Lotito. Secondo gli inquirenti Benedetti, in concorso con altri, avrebbe tentato prima di ostacolare l'identificazione di denaro riferibile ai casalesi e poi di usare tale denaro per scalare la squadra di calcio biancoceleste. Nell'interrogatorio di garanzia Benedetti non si è avvalso della facoltà di non rispondere e ha chiarito la sua posizione. Tale specificazione è doverosa, perché diverse istanze di ingiusta detenzione vengono rigettate perché l'indagato, tra l'altro, non ha voluto rispondere al gip. Il Riesame annulla la custodia cautelare poiché - hanno scritto i suoi legali Renato Borzone e Alessandro Artuso - «la contestazione mossa nei confronti del ricorrente era affetta da nullità per violazione del diritto di difesa», in quanto «le attività criminali da cui sarebbe derivato il provento illecito non vennero in alcun modo specificate, così impedendo agli indagati di esercitare compiutamente il proprio diritto di difesa». Tuttavia la Procura fa appello e un nuovo Riesame rimanda Benedetti in carcere. All'esito di un giudizio abbreviato l'uomo viene assolto per contraddittorietà delle prove a carico, sentenza poi passata in giudicato. Assolti come lui altri quattro imputati. Nel ricorso presentato dai legali si spiega che sono state le intercettazioni telefoniche a portare l'uomo in carcere per quasi un anno e mezzo. Tuttavia, «la fase cautelare - scrivono i difensori - fu caratterizzata dalla carenza in atti persino dei brogliacci informali della polizia giudiziaria. Tutti gli atti investigativi vennero strutturati sulla base di mere sintesi delle conversazioni che all'esito della vicenda si sono rivelate del tutto inattendibili. La polizia giudiziaria si è spericolatamente dedicata alla personale interpretazione di singoli spezzoni di telefonate». Solo grazie alla difesa, il Gup dispose la perizia trascrittiva delle conversazioni captate che alla fine dimostrarono l'innocenza di Benedetti. Il giudicante è severo sul punto perché parla in sentenza di «non condivisibile chiave di lettura delle conversazioni telefoniche intercettate seguita dalla Pg nelle proprie informative, e fatta propria dal pm. Attraverso l'ascolto diretto delle telefonate emerge come siano stati trascurati alcuni fondamentali aspetti considerati forse come poco significativi nella logica di una successiva elaborazione volta a suffragare una certa linea interpretativa». In pratica, sta dicendo il gup, sarebbero state omesse perché a favore dell'indagato. E non sarebbe la prima volta, come abbiamo visto anche nel caso Cerciello Rega. Tuttavia, secondo la Corte di Appello che ha rigettato l'istanza per ingiusta detenzione, alcuni comportamenti del Benedetti, desunti da quelle stesse intercettazioni, poi rivelatesi fallaci, hanno influenzato il giudice cautelare. «È allucinante - ci dice Benedetti - che si possa essere arrestato e detenuto per 17 mesi in carcere in attesa di giudizio per una farneticante ipotesi accusatoria basata su indizi basati su stralci di intercettazioni telefoniche. Poi, dopo dieci anni, arriva l'assoluzione, ma vengo nuovamente incolpato per aver indotto i pm nella loro farneticante ipotesi accusatoria. Eppure la mia vita è stata completamente stravolta immotivatamente». Gli avvocati Artuso e Borzone concludono: «Suscita grave amarezza il fatto che i provvedimenti in materia di ingiusta detenzione siano guidati da una giurisprudenza che si aggrappa ad ogni pretesto per negare, a chi è stato detenuto illegittimamente ed investigato con modalità inquietanti, il pur giusto ristoro economico, anche se mai minimamente proporzionato ai danni e alle sofferenze prodotte dall'ingiusta detenzione e da vicende giudiziarie prive di fondamento probatorio». Come ha ricordato il deputato di Azione Enrico Costa, «il 77 per cento di chi arrestato ingiustamente chiede lindennizzo e non lo ottiene, secondo le Corti dAppello, avrebbe concorso con dolo o colpa grave allerrore del magistrato. Questa è una distorsione giurisprudenziale a cui porre rimedio».