Ha ragione l’associazione “Sbarre di Zucchero” nel dire, con una dura lettera rivolta al ministro della Giustizia, che i permessi di necessità non vengono concessi con la stessa celerità avuta nei confronti di Chico Forti? La risposta è sì, e vedremo il perché.

Il suo ritorno in Italia, dopo quasi 25 anni di detenzione negli Stati Uniti per l'omicidio, per cui si è sempre professato innocente, è stato accolto con giubilo. Eppure, le modalità della sua accoglienza al carcere di Verona hanno sollevato non poche polemiche, riaprendo il dibattito sulle disparità di trattamento tra detenuti. Il "tour" della prigione e le foto ricordo con la matricola hanno fatto storcere il naso a molti, vista l'eccezionalità di simili "privilegi" per un detenuto appena giunto. A puntare il dito, come detto, è l'associazione "Sbarre di Zucchero" che, in una lettera aperta al Ministro Nordio, sottolinea: «Crediamo di poter dire con certezza praticamente assoluta che non rientra nella prassi fare al detenuto nuovo giunto il tour dell'istituto, come fosse un ospite istituzionale».

Il punto cruciale

L'associazione plaude al permesso di necessità concesso immediatamente a Forti per far visita alla madre anziana, organizzato con celerità dal carcere veronese. Una prontezza che stride con le decine di testimonianze ricevute di detenuti “anonimi” a cui sono stati negati analoghi permessi, anche per tragici eventi come la morte di un genitore. «Rigetti motivati dall'impossibilità di organizzare la traduzione in tempi brevi, nonostante mesi di osservazione e relazioni impeccabili», denuncia l'associazione, aggiungendo: «La territorialità della pena pare utopia per una gran fetta di detenuti».

Un trattamento privilegiato per Forti che rischia di alimentare l'idea di “detenuti di serie A e di serie B”, come recita la lettera a Nordio. Un'accusa di disparità che l'associazione estende anche alla concessione di benefici come la liberazione anticipata, che potrebbe deflazionare in modo consistente il sovraffollamento carcerario se gestita con maggiore celerità per tutti i detenuti meritevoli. Il caso Forti riaccende così i riflettori sulla necessità di un'applicazione davvero universale dei diritti e dei benefici previsti dall'ordinamento penitenziario, senza distinzioni di sorta tra “detenuti anonimi” e “detenuti celebri”.

Un monito affinché le carceri italiane si avvicinino davvero ai dettami costituzionali, superando prassi e burocrazia che finiscono per creare cittadini di serie A e di serie B anche dietro le sbarre. Un'occasione, per il ministro Nordio, di riaffermare con i fatti l'equità e l'universalità del sistema penitenziario, dando ascolto alle istanze di associazioni come “Sbarre di Zucchero” che chiedono maggiore uniformità, celerità e trasparenza nell'applicazione di norme e benefici per tutti i detenuti, senza alcuna discriminazione.

Ecco perché è fondata la denuncia

Ciò che denuncia “Sbarre di Zucchero” è fondato. Tanti sono i casi in cui i detenuti si sono ritrovati negati i cosiddetti “permessi di necessità”. A essere colpiti sono soprattutto gli ergastolani. Possiamo fare un esempio. L’anno scorso, la Cassazione, con la sentenza numero 40923/2023, ha annullato il diniego della magistratura di sorveglianza nei confronti di un detenuto che ha chiesto il permesso di poter incontrare la madre affetta da Alzheimer.

Il detenuto ha dovuto aspettare mesi per sentirsi dire che in realtà è possibile concedere il permesso per uscire temporaneamente dal carcere e incontrare l’anziana madre, gravemente malata e, soprattutto, colpita dall’irreversibile morbo di Alzheimer. Proprio quest’ultima patologia, destinata inevitabilmente ad annullare la capacità della donna di relazionarsi col figlio, può rendere eccezionalmente drammatica la situazione familiare del detenuto e legittimare quindi la sua richiesta di incontrare di persona – e non tramite una videochiamata – la madre. Ma se si fa una ricerca tramite le sentenze della Cassazione, emerge che casi del genere sono tantissimi.

Detenuti che devono aspettare mesi e non è detto che gli vada bene. Poi, per chi è al 41 bis, diventa un'utopia nonostante sia un diritto. Su Il Dubbio, sempre per fare un esempio, nel 2021 è stata resa nota la vicenda del recluso Salvatore Cappello. A segnalarla è stata l’associazione Yairaiha Onlus. Era al 41 bis da 29 anni e aveva richiesto un permesso di necessità per poter abbracciare l’ultima volta la madre morente. Rigettata, perché – così scrissero i giudici – non era in pericolo di vita. Dopo una settimana, la madre muore. Stessa situazione con il padre: gli rigettarono il permesso di necessità per poterlo abbracciare e dopo un po’ muore.

Non sempre poi la Cassazione accoglie i ricorsi. Ad esempio, nel 2020, un detenuto si è visto definitivamente respinta la richiesta di poter assistere all’esumazione della salma della madre. Per i Giudici supremi, con la sentenza numero 10541/20, non ci si trova di fronte a un evento familiare di particolare gravità, poiché la domanda presentata dall’uomo è poggiata su un suo mero interesse personale, non riconducibile ad «esigenze fondamentali sul piano morale e materiale».

Ma se uno pensa che sono problemi che riguardano i detenuti per reati gravi come l’associazione mafiosa, si sbaglia. Nel 2019, sempre su queste pagine, è stata resa nota la vicenda di Salvatore Proietto, all’epoca condannato a due anni per il possesso di 72 grammi di marijuana. Si tratta di una storia drammatica, ma non unica. Salvatore riesce a ottenere la detenzione domiciliare per vivere insieme alla moglie. Lei però, nel frattempo, si è ammalata gravemente. La portano in ospedale e finisce in terapia intensiva. Salvatore, essendo ai domiciliari, non può andarla a trovare. Fa istanza al magistrato di sorveglianza, ma non ha nessuna risposta e la moglie muore, senza che lui sia mai andato a trovarla e la possa vedere.

Ma ancora prima, ha vissuto un altro dramma. Salvatore, nei primi mesi del luglio del 2018, quando era ristretto in quel carcere catanese, ha ricevuto una notizia del tutto inaspettata. La madre, affetta da demenza senile, muore improvvisamente. Il suo avvocato difensore ha subito fatto istanza al giudice e quest’ultimo prontamente ha emesso l’autorizzazione. Ma anche quando ti concedono il permesso, qualcosa può andare ugualmente storto. Tre i permessi, con tanto di scorta. Il primo per recarsi a casa il giorno stesso della morte della madre, il secondo per il funerale, il terzo per andare al cimitero nel luogo dove avveniva la tumulazione. Salvatore era quindi in attesa per essere scortato in paese, per poter vedere la madre, poterla piangere e guardarla per l’ultima volta. Ma nulla da fare. I giorni passavano e ha perso ogni speranza. Solo dopo giorni finalmente l’hanno preso e portato al cimitero, quando ormai la madre era stata già tumulata. E solo per mezz’ora.

Quindi l’associazione “Sbarre di Zucchero”, con la lettera inviata al ministro Nordio, ha ragione nel dire che «in Italia ci sono migliaia di detenuti che, se ricevessero con celerità risposte alle istanze proposte al magistrato di Sorveglianza per ottenere la liberazione anticipata, potrebbero accedere ai benefici previsti dall'Ordinamento Penitenziario, deflazionando in modo consistente le presenze e avvicinando il sistema penitenziario al dettato costituzionale. In uno Stato che si definisce civile non è ammesso che ci siano detenuti di serie A e detenuti di serie B».