Due ricorsi per impugnare il quesito referendario, uno presentato al Tar Lazio e uno al tribunale civile di Milano. Obiettivo: ottenere l'annullamento del referendum e il rinvio della questione alla Corte Costituzionale. Gli atti portano la firma del presidente emerito della stessa Consulta Valerio Onida. Un affondo dal grande impatto simbolico: lo stesso Onida nel 2013 aveva fatto parte del gruppo dei dieci saggi nominati dall'ex presidente Napolitano, per stendere una relazione che tracciasse la via proprio al percorso di riforma costituzionale. I due ricorsi in via d'urgenza - che impugnano il decreto del Presidente della Repubblica che ha indetto la consultazione referendaria - chiedono ai togati di accertare che «la formulazione di un unico quesito, suscettibile di un'unica risposta affermativa o negativa» leda «la libertà di voto» degli elettori e dunque l'annullamento, previa sospensione, del decreto di indizione della consultazione.In pratica, dunque, l'annullamento del referendum. A sostegno della tesi, il giurista ha sottolineato che «i caratteri di omogeneità del quesito» richiesti dalla Costituzione siano «gli stessi richiesti, secondo consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale relativa al referendum abrogativo». Proprio la mancata omogeneità, infatti, «viola in modo grave ed evidente» il diritto di voto degli elettori previsto dalla Costituzione, pregiudicandolo proprio nel momento «dell'esercizio diretto della sovranità popolare al suo livello più alto: cioè nella definizione delle regole del patto costituzionale». Nel ricorso al Tar, il costituzionalista definisce i quesiti referendari «eterogenei, tra di loro non connessi o comunque collegati solo in via generica o indiretta e che riflettono scelte altrettanto distinte, neppure tra di loro sempre coerenti». In una frase, impossibili da valutare per l'elettore con un giudizio complessivo. Torna, dunque, il tema del cosiddetto "spacchettamento" dei quesiti referendari, sollevato anche dai Radicali italiani durante l'estate. Prima era stata avviata una raccolta firme - non riuscita - tra i parlamentari per proporre la divisione del quesito. Poi i Radicali avevano sollevato la questione direttamente davanti alla Corte di Cassazione, bocciata per mancanza delle 500mila firme necessarie a proporla.Non solo, il ricorso di Onida affronta anche la polemica di queste settimane contro la formulazione del quesito referendario. Secondo il giurista, l'atto di convocazione del referendum è articolato come se il ddl Boschi fosse una legge costituzionale, «formulando dunque il quesito che rinvia esclusivamente in toto al titolo della legge». Presupposto errato, perchè la riforma sarebbe da considerarsi - tecnicamente - una legge di revisione della Costituzione: il che comporterebbe (in base alla legge del 1970 che disciplina il referendum) l'indicazione nel quesito «gli articoli della Costituzione sottoposti a modifica». Non, come invece è il caso del referendum del 4 dicembre, un titolo che «riflette, e per di più in modo parziale e per molti versi impreciso, i suoi contenuti plurimi ed eterogenei». Ora la parola spetta ai giudici, che dovranno pronunciarsi, preliminarmente e in via d'ugenza, sulla richiesta di sospensione del referendum.