Renzi è già debole. Forse le associazioni dei magistrati sono trattenute anche da questo scrupolo, quando misurano con attenzione il loro impegno nella campagna referendaria. Sta di fatto che anche Movimento per la giustizia ha deciso di non schierarsi direttamente per il “no”. È la linea adottata a maggio dell’Anm, seguita ora dalla componente riunita, con Magistratura democratica, nel raggruppamento di “Area”. Le ultime riserve sono state sciolte in un’assemblea di “Movimento” riunitasi l’altra domenica e servita a precisare alcuni punti. Innanzitutto ciascun magistrato è libero di «interloquire nel dibattito pubblico», un «diritto» da «affermare sempre e in via generale, prima ancora del merito della specifica questione», recita la nota interna diffusa a fine incontro. Vuol dire che i numerosi magistrati schierati in modo nettamente critico sulla riforma costituzionale potranno tranquillamente aderire ai comitati per il no. Non lo faranno sotto le insegne di Movimento per la giustizia ma poco importa, Quello che conta sarà la presenza delle toghe nei dibattiti intorno al referendum, che si annuncia numerosa. E che rischia di contribuire a quella che sarebbe una gravissima sconfitta per il premier.Il “Movimento-art. 3”, gruppo i cui iscritti vengono spesso indicati con l’appellativo di “verdi”, fa dunque una scelta diversa dalla corrente “consorella”, Md appunto, che invece è schierata per il no in modo organico. Due posizioni complementari: e in effetti il raggruppamento di Area, che riunisce le due associazioni, aveva già approvato un documento in cui fissava due paletti. Da una parte, il diritto di giudici e pm di «esprimersi liberamente sul contenuto delle riforme», di «partecipare al dibattito pubblico in materia» e di «impegnarsi in ogni iniziativa di carattere culturale»; dall’altra, già quel documento - a cui la nota dei “verdi” rimanda - prendeva atto di come «la posizione espressa dalla gran parte dei magistrati di Area» sia stata «critica nei confronti della riforma».Non è previsto alcun divieto di entrare a far parte dei comitati. D’altra parte lo hanno già fatto autorevoli esponenti, non solo di Md, a cominciare da Piergiorgio Morosini, ma dello stesso Movimento per la giustizia, primo fra tutti Armando Spataro. Il procuratore di Torino ha parlato del proprio impegno per il “no” a un dibattito organizzato la scorsa settimana dal Foglio, e ha chiarito: «Faccio parte di un comitato composto da costituzionalisti, non c’è neanche un politico». Accortezza che l’assemblea di “Movimento” ha dato per scontato di veder osservata da tutti i propri iscritti: va benissimo far parte di comitati attivi nella campagna, basta che la loro composizione non abbia una natura schiettamente politica.L’attivismo delle toghe rischia comunque di essere micidiale per le speranze renziane. Il fatto che la magistratura non metta in campo le proprie bandiere associative è per certi aspetti anche peggio: a pesare sarà la personale autorevolezza delle toghe, che complessivamente non daranno l’impressione di uno schierarsi politicizzato e corporativamente fazioso. Md fa eccezione a questa linea dell’attivismo discreto: ma cambia poco, perché la netta ostilità alla riforma di questa sigla della sinistra giudiziaria classica rischia di essere un ulteriore specifico fattore di condizionamento, nell’opinione pubblica. In Md come in “Movimento” le perplessità maggiori derivano dall’«effetto combinato» tra il superamento del bicameralismo perfetto e la spinta maggioritaria dell’Italicum. Un incrocio che «incide sull’elezione del presidente della Repubblica» e, soprattutto, dei componenti di Consulta e Csm, «indebolendo la funzione di garanzia di tali organi». Alcuni, nei due gruppi, avrebbero visto bene uno spacchettamento del quesito referendario: un’uscita di riserva che ormai il governo non può più utilizzare.