«Nel mio paese, gli avvocati non difendono solo nei tribunali, ma anche nelle strade e nelle piazze, dove il cittadino è più debole». Al trentatreesimo Congresso Nazionale Forense si è discusso, animatamente e con i toni di un dibattito deciso, ma in platea è calato il silenzio quando sul palco è salito l'avvocato Aziz Essid, membro del quartetto tunisino vincitore del Nobel per la pace del 2015. Essid ha portato la testimonianza di un paese in lotta per la democrazia, a partire dalla primavera araba che ha liberato la il Paese nel 2010, portando all'allontanamento di Ben Ali. «La rivoluzione dei Gelsomini è riuscita ma stiamo affrontando ancora giorni molto duri e pieni di difficoltà», ha spiegato l'avvocato premio Nobel. E la difficoltà si chiama Libia: «Abbiamo una lunga frontiera con la Libia, un paese consumato dalla guerra civile. Un milione e 800mila profughi sono arrivati in Tunisia e noi li abbiamo accolti, integrati, abbiamo mandato a scuola le loro ragazze, abbiamo condiviso con loro l'acqua».Un allarme umanitario di cui Essid delinea coraggiosamente i responsabili: «Le forze che hanno tolto di mezzo Gheddafi lo hanno fatto senza pensare al dopo. Hanno abbattuto un terribile regime dittatoriale ma nessuno ha pensato al futuro de cittadini. Così la Libia è diventata la ferita aperta nel cuore del Mediterraneo, che fa male alla Tunisia ma anche all'Italia».Un dramma che ha colpito anche la Siria. E, in questo caso, i nomi dei colpevoli sono le potenze straniere, gli Stati Uniti e la Russia in testa. «E ora si è aggiunta anche la Francia. Interi quartieri di Aleppo, Damasco, Mosul sono stati bombardati e distrutti. Ma per aiutare chi? Distruggere un paese non fa vincere nessuno, fa solo perdere il popolo siriano».Una responsabilità dei Paesi occidentali, contro cui Essid ha chiamato la reazione dei suoi colleghi avvocati: «I vostri politici consumano queste atrocità in nome vostro, voi dovete dire no. Rifiutate la guerra e chiedete il rispetto della vostra coscienza». Un appello che Essid considera già accolto da parte degli organi istituzionali dell'avvocatura italiana, «che sono sempre stati a nostro fianco». E che oggi lo sono con una iniziativa, lanciata per rilanciare il turismo in Tunisia dopo il tragico attentato dell'Hotel Imperial dell'anno scorso. «Voi siete venuti a visitare quei luoghi e avete chiesto al gestore dell'hotel come mai non ci fossero turisti. Lui ha risposto che nessuno voleva più venire, dopo quei morti. Allora avete deciso di convincere i vostri colleghi italiani a venire in vacanza qui, per aiutare il nostro paese a riprendersi. Dal 18 al 21 maggio prossimo, voi sarete con noi in Tunisia». L'avvocato tunisino ha affrontato anche la situazione del terrorismo, spiegando come «il mio paese non è terra fertile degli attentati. Il terrorismo non ha mai attecchito e gli attacchi avvenuti sono serviti ad allontanarci dai nostri amici confinanti. E' successo anche con Parigi e Bruxelles». Per questo, la vicinanza dei colleghi italiani è stata così importante: «Avete dimostrato che il terrorismo è la cultura della morte e della chiusura, che l'avvocatura ha la cultura della vita e della riapertura».