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La lentezza della giustizia, in particolare in ambito civile, è uno dei principali problemi strutturali dell'Italia. Ciò, come è noto, ha ricadute sulla nostra economia e capacità attrattiva: l'argomento lo si tratta sempre per grandi numeri ma le conseguenze dirette ricadono spesso sulle famiglie, percorrendo strade difficilmente comprensibili. E la storia che stiamo per raccontarvi ne è la piena dimostrazione: il piccolo Angelo Cirimele muore a soli tre anni investito da un'auto ma la famiglia riceverà il risarcimento del danno trentatrè anni dopo. Lo Stato italiano sarà anche condannato per l'estrema lunghezza del procedimento. Ma facciamo un passo indietro grazie al fratello di Angelo, Luigi, che ci racconta cosa accadde quel maledetto giorno. «Era il 4 maggio 1984. Avevo 20 anni, ero sposato da qualche mese e vivevo a Torino. Ricevetti una telefonata da alcuni amici di famiglia che mi dissero che era successa una tragedia: il mio fratellino era morto investito. Con mia moglie prendemmo subito l'aereo e tornammo in Calabria». Cosa accadde di preciso? Il piccolo Angelo giocava insieme ad altri bimbi sul marciapiede nei pressi della sua abitazione, sulla strada provinciale Taurianova-Rosarno, in provincia di Reggio Calabria; all’improvviso sbuca un’autovettura, una Fiat 125, che viaggia ad una velocità superiore ai limiti consentiti; «il tassista - ci racconta sempre Luigi - sbanda durante un sorpasso, perde il controllo dell'automobile e prende in pieno Angelo che muore sul colpo. La signora che occupava il posto del passeggero dietro, sentito il colpo, chiede cosa fosse successo e lui risponde che forse aveva preso un cane. Come raccontò la cliente del taxi, l'uomo non caricò neanche mio fratello in auto perché temeva di sporcare i sedili di sangue. Furono altri a portarlo in ospedale ma inutilmente, perché era già morto». Dopo per la famiglia di Angelo, lacerata dal dolore e dall'assurdità di quella morte prematura, «inizia una odissea durata oltre trent'anni». In seguito alla tragedia, come si legge sul sito dell'AIVM - Associazione Italiana Vittime di Malagiustizia - «viene avviato un procedimento penale nei confronti del conducente, nel corso del quale non solo non viene svolto un corretto contraddittorio con la partecipazione di tutte le parti lese, ma emergono anche numerose lacune per quanto riguarda la ricostruzione del fatto. Ciò nonostante il conducente viene assolto perché “il fatto non costituisce reato”». Nell’ottobre del 1985 prende avvio anche un procedimento civile per ottenere il risarcimento dei danni. Una precisazione è necessaria per inquadrare quanto accaduto alla famiglia di Angelo: secondo l’ultimo rapporto della Commissione europea per l'efficacia della giustizia (CEPEJ) relativo al biennio 2017-2018 un processo civile in Italia che attraversi tutti e tre i gradi di giudizio - Tribunale, Appello e Cassazione - dura in media otto anni. Ciononostante, nel 2018 i processi che giungono al terzo grado di giudizio durano circa la metà (1.223 giorni) in Francia e (1.240 giorni) in Spagna, mentre circa un terzo (840 giorni) in Germania. In Europa, solo la Grecia ha una durata dei processi più elevata che in Italia per il primo grado di giudizio (610 giorni) e solo Malta per il secondo grado (1.120 giorni). Nessun Paese, invece, è più lento dell’Italia in terzo grado di giudizio[Fonte: Osservatorio CPI]. La famiglia del piccolo Angelo ha invece dovuto attendere ben 33 anni per aver un risarcimento. Infatti, come racconta sempre l'AIVM, «passano undici anni per la prima sentenza, che nel 1996 quantifica il risarcimento del danno in lire 80.000.000, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, con condanna dei convenuti alle spese di giudizio. La sentenza, appellata dal conducente, viene dichiarata nulla dalla Corte d’Appello nel 1997 e così gli atti vengono rimessi in primo grado. Ha quindi inizio un’infinita sequela di udienze, la prima nel 2002, poi nel 2007, 2008 e nel 2015». Nel 2016 si hanno ulteriori rinvii fino ad arrivare al 2017. Il 25 ottobre di quell'anno la Corte d’Appello di Reggio Calabria mette la parola fine all'odissea giudiziaria: i giudici condannano alla liquidazione di 150 mila euro il tassista ritenuto responsabile e l'assicurazione designata dal Fondo di garanzia Vittime della strada. Durante questo interminabile susseguirsi di udienze, nel 2008 muore il padre di Angelo, segnato dalla terribile esperienza di perdere un figlio in tenera età e dalla mancata celere risposta dell'amministrazione giudiziaria. Proprio per questa lentezza nel 2010 la famiglia Cerimele denuncia l’eccessiva durata del processo presso la Corte di Appello di Catanzaro. Il tribunale riconosce l’immotivato ritardo e liquida come indennizzo alla madre una somma pari a 13.000 euro e a ciascuno dei fratelli del piccolo Angelo 1.500 euro. Inspiegabilmente, ci dice Luigi, «il Ministero della Giustizia non ha provveduto al pagamento delle somme indicate». Gli appellanti sono stati costretti a rivolgersi al Tar della Calabria per la nomina di un Commissario ad acta per la liquidazione degli importi dovuti. Ma « è solo grazie all'Associazione Italiana Vittime di Malagiustizia - ci dice Luigi - che mezzo mondo si è mobilitato per noi. Tutto è cambiato quanto conobbi per la prima volta il Presidente Mario Caizzone nel 2014 a Tv2000». Il primo giornale a puntare i riflettori sulla storia fu Calabria Ora, poi ripresa da Goffredo Buccini sul Corriere della Sera. Tuttavia «solo dopo l'incontro con Caizzone tutte le principali testate e i più seguiti programmi televisivi cominciarono a seguire la vicenda». Il finale della storia è comunque amaro: « siamo delusi e non abbiamo fiducia nella Giustizia e nello Stato. Mio padre è morto, mia madre si è ammalata e noi abbiamo dovuto combattere contro lo Stato che ci avrebbe dovuto tutelare». E l'uomo che ha investito Angelo? « Lui non ha mai chiesto scusa, non ci ha mai contattato, non sappiamo se sia vivo o morto».