«Il possesso del libro metterebbe il detenuto in posizione di privilegio agli occhi degli altri detenuti, aumenterebbe il carisma criminale», così l’autorità giudiziaria ha vietato l’acquisto din un libro a un recluso al 41 bis di Viterbo. Parliamo della biografia di Totò Riina, oppure del romanzo “Il padrino” che narra le vicende americane di una famiglia mafiosa di origini italiane? No, si tratta di “Un'altra storia inizia qui”, il libro a firma di Marta Cartabia, l’ex presidente della Corte costituzionale, e Adolfo Ceretti, docente di Criminologia, nel quale si confrontano con il magistero del compianto arcivescovo Carlo Maria Martini. Non solo. Vietato anche l'acquisto del libro di Luigi Manconi e Federica Graziani Al detenuto al 41 bis gli hanno vietato anche l’acquisto del libro di Luigi Manconi e Federica Graziani “Per il tuo bene ti mozzerò la testa”. Chissà, forse si saranno allarmati per il titolo “minaccioso”? Fatto sta, anche in questo caso la richiesta di acquisto è stata respinta in quanto giudicata "non opportuna" dalla direzione del carcere. Puntualmente, la decisione è stata confermata dalla Procura. Due libri, insomma, considerati pericolosissimi in mano a un detenuto al 41 bis. Una storia raccontata dallo stesso detenuto, T. C., che ha inviato tutta la documentazione al parlamentare di Italia Viva Roberto Giachetti, che ha parlato della vicenda anche a Rita Bernardini del Partito Radicale. Roberto Giachetti ha presentato un'interrogazione parlamentare Roberto Giachetti ha, quindi, presentato una interrogazione parlamentare a risposta scritta per chiedere al ministro della Giustizia di adottare interventi di chiarimento normativo, «al fine di evitare interpretazioni palesemente arbitrarie, che si traducano nella negazione del diritto all’informazione dei detenuti». Giachetti ripercorre quindi tutta la vicenda. Nella lettera, T. C. fa presente che la direzione del carcere, a cui aveva fatto richiesta, gli ha negato la possibilità di acquistare due libri: quello di Luigi Manconi e Federica Graziani “Per il tuo bene ti mozzerò la testa” e quello di Marta Cartabia e Adolfo Ceretti “Un’altra storia inizia qui”; la direzione dell’istituto di Viterbo, esprimendo parere contrario, si è rivolta all’autorità giudiziaria per avere o meno il nulla osta all’acquisto dei due libri. Il deputato di Italia Viva, nell’interrogazione, approfondisce le motivazioni del rigetto di ambedue i libri da parte dell’autorità giudiziaria: per il libro di Manconi e Graziani, con la motivazione che «la sottoposizione al regime del 41-bis comporta la sospensione alle regole di trattamento degli istituti, specificatamente indicate al comma 2-quater della suddetta disposizione; considerato che la direzione della casa circondariale di Viterbo ha evidenziato la non opportunità dell’autorizzazione all’acquisto del libro indicato, con motivazione alla quale si aderisce integralmente »; per quello di Cartabia e Ceretti, si documenta sia il parere contrario del pubblico ministero perché «il possesso del libro metterebbe il detenuto in posizione di privilegio agli occhi degli altri detenuti aumenterebbe il carisma criminale », sia il rigetto dell’istanza da parte del giudice con la motivazione che «il possesso del libro determinerebbe una posizione di privilegio rispetto agli altri detenuti». Per Giachetti le censure sarebbero arbitrarie Secondo Giachetti, queste censure da lui definite «arbitrarie», violerebbero ben due articoli della corte costituzionale. Questa affermazione, però, l’argomenta nell’interrogazione. Parte dalle mosse della sentenza n. 122 del 2017, dove la Corte Costituzionale ha stabilito che «i detenuti sottoposti al regime speciale del 41 bis possono ricevere libri solo attraverso l’amministrazione e non dall’esterno, confermando in materia circolari emanate dal Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria». Il deputato di Italia Viva osserva che la citata sentenza della Corte Costituzionale ha due punti fermi : 1) « ...la misura che, secondo il “diritto vivente”, può essere adottata dall’amministrazione penitenziaria in base alla norma denunciata non limita il diritto dei detenuti in regime speciale a ricevere e a tenere con sé le pubblicazioni di loro scelta, ma incide solo sulle modalità attraverso le quali dette pubblicazioni possono essere acquisite»; 2) «Resta fermo, peraltro, che la misura in discussione, nella sua concreta operatività, non deve tradursi in una negazione surrettizia del diritto. Nel momento stesso in cui impone al detenuto di avvalersi esclusivamente dell’istituto penitenziario per l’acquisizione della stampa, l’amministrazione si impegna a fornire un servizio efficiente, evitando lungaggini e “barriere di fatto” che penalizzino, nella sostanza, le legittime aspettative del detenuto. La corte di Cassazione si è, del resto, già espressa chiaramente in tal senso: i libri e le riviste – tutti i libri e tutte le riviste – dovranno pervenire ai detenuti richiedenti in un tempo ragionevole». Una violazione degli articoli 3 e 21 della Costituzione Da ciò si evince, si legge sempre nell’interrogazione parlamentate, che «il potere dell’autorità giudiziaria di «censurare» la corrispondenza, i libri, le riviste o qualunque contenuto informativo, sussiste solo qualora sia ravvisabile un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblici; il diritto all’informazione, allo studio, alla cultura deve essere mantenuto nella sua massima espansione costituzionale, a meno che, ai sensi dell’articolo 18-ter dell’ordinamento penitenziario, sia possibile individuare nel contenuto informativo elementi di sospetto in ordine alla veicolazione di messaggi potenzialmente criminali». Ecco perché, secondo Giachetti, quanto accaduto si palesa come una «censura arbitraria» in violazione degli articoli 3 e 21 della Costituzione, come declinati in materia da specifiche pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione. Non rimane altro che un intervento normativo da parte del ministro della Giustizia per evitare, com’è accaduto, che un libro a firma dell’ex presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia, venga considerato un'insidia per la sicurezza del nostro sistema penitenziario.