Il tema del divieto della sessualità in carcere sarà nuovamente sollevato davanti alla Corte Costituzionale. Ma questa volta con argomentazioni diverse che prima non erano state prese in considerazione. A sottoporre la questione di legittimità innanzi alla Consulta sul divieto ai detenuti, derivante dall’applicazione dell’articolo 18 dell’Ordinamento penitenziario, di fare sesso con i loro partner, in quanto tale divieto potrebbe colpire i diritti costituzionali, è il magistrato di sorveglianza di Spoleto Fabio Gianfilippi.

Nel sollevare la questione, il magistrato ha ritenuto precisare, in ordine alla rilevanza della stessa nel procedimento, che il detenuto si duole del divieto, derivante dall’attuale normativa, di poter disporre di spazi di adeguata intimità, anche per esercitare la sessualità con la compagna, nel momento in cui gli è consentito di svolgere con la stessa i colloqui visivi che prevedono la costante sottoposizione al controllo visivo della polizia penitenziaria.

L’ordinamento penitenziario tutela in modo peculiare, in particolare mediante i colloqui visivi e la corrispondenza telefonica, i rapporti dei detenuti con i congiunti, e tra questi certamente figura la persona convivente, con ricostruzione pacifica per l’amministrazione penitenziaria (art. 37 co. 1 reg. es. ord. penit.), di recente trasfusa nella disposizione di cui all’art. 1 comma 38 della legge 76/ 2016, secondo la quale «I conviventi di fatto hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall'ordinamento penitenziario». Anche la legge in materia di colloqui telefonici, individua come categoria di soggetti il coniuge, la componente dell'unione civile, la persona stabilmente convivente o legata all’interessato «da relazione stabilmente affettiva».

Quindi è ben evidenziato chi è il soggetto riconosciuto nell’affettività. Ma nella stessa è vietata una relazione intima. E il detenuto reclamante, attualmente, non può godere nemmeno dei “permessi premio” che possono raggirare fittiziamente il divieto. Ovvero mantenere la sessualità all’esterno del carcere.

Come sottolinea il magistrato di sorveglianza, a ogni modo, tale soluzione, non sembra esente da critiche (la Corte Costituzionale, non a caso, nella questione sollevata nel passato, aveva fatto cenno al fatto che il permesso premio costituisse una soluzione del problema solo parziale), «poiché determina la conseguenza di spostare il piano dell’esercizio di un diritto che, come si proverà a dire, appare da annoverare tra quelli fondamentali della persona, verso l’orizzonte della premialità precludendolo a chi si trovi nella condizione del condannato, e per diverse ragioni ai detenuti in custodia cautelare o a chi non abbia ancora maturate le quote di pena previste dagli art. 30- ter e quater ord. penit. per l’ammissibilità della richiesta».

Il magistrato di sorveglianza, ribadiamolo, ha le mani legati. Non può concedere la sessualità in carcere. E infatti nella questione sollevata alla Consulta, sottolinea che ha potuto già verificare la rispondenza dell’agire dell’amministrazione a disposizioni normative che, in particolare nell’art. 18 comma dell’ordinamento penitenziario, impongono di interdire momenti di intimità, specialmente di tipo sessuale, durante il colloquio visivo.

Il divieto della sessualità in carcere ha le sue conseguenze. Lo stesso magistrato Gianfilippi, scrive nero su bianco che è lesivo anche sotto il profilo dell’umanità della pena, «poiché si impone una limitazione cosi pregnante di una componente essenziale della vita di ogni persona, che va ad aggiungersi alla privazione della libertà un sicuro surplus di afflittività, non sempre necessitata da ragioni di sicurezza, ma anche dal punto di vista della finalità rieducativa delle pena». E che quindi ne derivano conseguenze desocializzanti che, piuttosto che fare del tempo vissuto in carcere una occasione per costruire e irrobustire relazioni socio- familiari esterne in grado di far da rete efficace alle fragilità personali che inevitabilmente conseguiranno alla restituzione di un detenuta alla società, «corrono il rischio – scrive il magistrato - di prepararne una maggior solitudine e una insicurezza personale più spiccata, connessa al mancato esercizio del proprio ruolo naturale all’interno di una relazione di coppia che, viceversa, ove vissuta o ritrovata nella sua pienezza, potrebbe far da volano alla risocializzazione della persona».

Il magistrato di sorveglianza è chiarissimo nell’esposizione e scrive senza mezzi termini che una «imputazione così radicale di un elemento costitutivo della personalità quale la dimensione sessuale dell’affettività, finisce per configurare una forma di violenza fisica e morale sulla persona detenuta».

Stefano Anastasìa, coordinatore dei garanti territoriali, accoglie con entusiasmo la questione sollevata alla Corte Costituzionale. E ricorda che «quel che è permesso ai detenuti di Francia, Svizzera, Austria, Slovenia o Spagna, e complessivamente in 31 Paesi europei (ma anche in India, Messico, Israele, Canada) agli italiani è negato». Anastasia conclude sottolineando che «alla suprema corte, il giudice di Spoleto rivolge un quesito che è insieme giuridico e morale: a vietare i rapporti sessuali, poi, non si contravviene allo spirito della Costituzione sulla protezione della famiglia, anche quella di un condannato?».

Ricordiamo che due proposte di legge, avanzate dai Consigli regionali di Toscana e Lazio, in discussione in Senato nella passata legislatura, non hanno concluso l’iter. La proposta di legge approvata con una mozione del Consiglio regionale del Lazio, in particolare, è partita dalla ricerca dell’Università di Cassino e del Lazio meridionale, realizzata con la condivisione e il supporto del Garante dei detenuti e della Presidenza del Consiglio regionale, “Affettività e carcere. Un progetto di riforma tra esigenze di tutela contrapposte”, i cui risultati sono stati raccolti nel libro di Sarah Grieco, la ricercatrice che ha coordinato lo studio, “Il diritto all’affettività delle persone recluse”.

È intervenuto anche il garante dei detenuti della regione Umbria Giuseppe Caforio, sottolineando che sarebbero tante, in Italia, le persone pronte a chiedere di avere rapporti con il proprio compagno o la propria compagna: una questione annosa e già affrontata parecchie volte in passato. Poiché l’Italia risulta essere tra i pochi paesi europei ad applicare il divieto, secondo il garante regionale sarebbe arrivato il momento di impugnare la normativa.

Un dato fa riflettere: tra le province di Perugia e di Terni la popolazione carceraria avrebbe un’età media abbastanza bassa, essendo composta da diversi giovani con età compresa tra i venti e i quarant’anni. In tanti avrebbero delle aspettative sessuali che, quando non soddisfatte, possono generare episodi di violenza.