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Il gip Cesare Vincenti e suo figlio Andrea, avvocato, erano innocenti. Lo ha stabilito oggi il gip di Caltanissetta, che ha archiviato dopo quattro anni l’indagine sulla fuga di notizie legata al Palermo Calcio e in particolare all’ex patron Maurizio Zamparini. Nel frattempo, però, uno dei protagonisti di quella vicenda, il giudice palermitano accusato di aver spifferato notizie segrete al manager e raggiunto dall’avviso di garanzia subito dopo il pensionamento, si è tolto la vita. Era il 20 novembre 2019 quando l’ex presidente dell'ufficio del gip di Palermo si lanciò dal pianerottolo del quinto piano del palazzo in cui abitava, da una finestra del vano scale che dava sul parcheggio interno. Il suo gesto, spiegò all’epoca il difensore del giudice, non aveva a che fare con l’indagine, ma con una crisi depressiva che lo aveva colpito a gennaio 2019. Ma la vicenda, spiega oggi al Dubbio il figlio Andrea, ha comunque influito sul suo stato psicologico. «Non si è suicidato per quella indagine - racconta -, ma sicuramente la stessa ha avuto un’efficienza causale nell’aggravamento della patologia. Purtroppo con la sindrome depressiva ogni problema diventa una montagna invalicabile e mio padre viveva nel terrore di non poter essere in grado di difendersi, pur nell’assoluta consapevolezza della sua innocenza. Ho cercato di rassicurarlo, perché sapevo bene che non c’era alcun fondamento per quelle accuse. Ma per lui il mio era solo un tentativo di tranquillizzarlo. Questa cosa lo ha profondamente turbato». L’indagine sui Vincenti nacque nell’ambito dell’inchiesta sul Palermo calcio e la fuga di notizie che nel 2018 avrebbe evitato a Zamparini, all'epoca componente del consiglio di amministrazione della società calcistica, la misura cautelare che la procura di Palermo era pronta a chiedere per le accuse di falso in bilancio e autoriciclaggio. Al giudice e a suo figlio si arrivò tramite un’intercettazione, che coinvolgeva un collega del gip, il quale aveva rivelato ad altri colleghi la convinzione che la "talpa" fosse il presidente Vincenti o il figlio avvocato, che di lì a poco fu nominato componente del comitato etico. Da lì le perquisizioni nelle abitazioni dei due indagati e nello studio del professionista, dopo le quali lo stesso non ha più avuto notizia del prosieguo delle indagini. «Questa persona ha detto che la talpa era Vincenti perché già sapeva di essere sotto indagine per la fuga di notizie. Da questa vera e propria calunnia ne è scaturito un procedimento penale», ha sottolineato. Nonostante quella intercettazione fosse l’unico elemento a carico dei due, l’indagine è durata quattro anni. Un’enormità, soprattutto se si considera che la notizia di reato si è rivelata semplicemente infondata. «Rimanere sotto indagine tanto tempo è una cosa che può avere delle conseguenze devastanti sulla vita professionale, familiare, sociale - ha proseguito -. Nel mio caso l’onestà, la correttezza e l’integrità di mio padre erano talmente note a Palermo che non ho avuto nessun tipo di ripercussione. Ma in altre circostanze sappiamo bene quanto possa essere devastante». Da qui la condanna della cultura del sospetto: «L’equazione indagato uguale colpevole, un concetto barbaro, veicolato anche da alcuni magistrati, è una cosa che non è degna di un Paese civile e lo dico da avvocato prima ancora che da persona che è finita sotto inchiesta. Il principio per cui la colpevolezza si ha solo quando c’è una sentenza passata in giudicato è una cosa che dobbiamo riacquistare se vogliamo essere qualificati come Paese civile. E purtroppo l’Italia ha dei vulnus molto molto gravi su questi fronti». Per non parlare, poi, dei temi legati al segreto investigativo: «Non è possibile che a volte si apprenda di essere indagati dai giornali. Se la procura di Caltanissetta avesse indagato senza clamori ci saremmo trovati davanti ad un decreto di archiviazione che oggi non sarebbe stato necessario nemmeno pubblicizzare. Se poi ci fosse stato un rinvio a giudizio allora sarebbe stato sensato rendere quella notizia pubblica, perché fondata. Il pm ha il dovere di indagare, ma deve farlo nel rispetto delle garanzie costituzionali di non colpevolezza dei soggetti sottoposti ad indagine». Dopo il suicidio, la Camera penale di Palermo aveva stigmatizzato il clamore mediatico della vicenda, parlando di «cortocircuito» e collegando la tragedia di Vincenti all’indagine. «Non c’è dubbio che ci fu un aggravamento dettato da questa situazione - ha aggiunto il figlio Andrea -, ma la stima che il foro palermitano ha sempre avuto nei confronti di mio padre è la migliore dimostrazione di quanto fosse una persona seria. Il primo contraddittorio del magistrato è l’avvocato e se l’avvocato ha stima, rispetto e considerazione del magistrato significa che fa bene il proprio lavoro». Vincenti, ora, valuterà tutte le azioni possibili da attuare nei confronti di coloro «che hanno calunniato me e mio padre. Saranno chiamati a rispondere delle dichiarazioni rese».