La residenza è un diritto fondamentale per i detenuti, riconosciuto dall’articolo 45 dell'Ordinamento Penitenziario. Ma risulta che quelli stranieri privi di permesso soggiorno rimangono senza identità anagrafica, e ciò è illegittimo perché comporta l'impossibilità di vedersi attribuita una carta di identità, di accedere a misure non detentive, di usufruire di prestazioni assistenziali spesso indispensabili e di attivare programmi di vita esterni una volta riacquistata la libertà personale. La denuncia arriva dal Garante nazionale delle persone private della libertà e lo ha fatto inviando le sue osservazioni, dal Capo Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia ai presidenti dei Tribunali di Sorveglianza.

Il Garante osserva che questa problematica configura un impatto determinante sui diritti fondamentali delle persone straniere interessate che, private dello status di residenti, vengono espropriate del diritto di essere viste e considerate come persone con una propria dignità sociale. «Sconosciute al nucleo sociale di fattuale appartenenza e prossimità – scrive il Garante nelle sue osservazioni -, rischiano di sprofondare in una dimensione di minorità e isolamento, senza possibilità di vedersi riconoscere prestazioni assistenziali indispensabili in presenza di determinate fragilità e più in generale di accedere a misure non detentive e di attivare di percorsi di vita esterni una volta riacquistata la libertà personale».

In sostanza, il Garante sottolinea che l'esclusione anagrafica inibisce qualsiasi possibilità di riconoscimento da parte della comunità nel cui territorio la persona, in forza del titolo detentivo, si trova costretta a permanere, pur essendo quella comunità chiamata a pianificare i servizi pubblici tenendo conto di tutti i propri membri. «Può quindi accadere – prosegue il Garante - che a persone in condizione di vulnerabilità, al termine della pena o della misura di sicurezza, rimanga precluso l’accesso a prestazioni sanitarie e sociali di vitale importanza come, per esempio, la continuità di percorsi terapeutici avviati all'interno di una struttura penitenziaria o di una Rems o la possibilità di fruizione di programmi residenziali di accompagnamento e supporto all'esterno delle strutture detentive».

Altro esempio - ma che fa capire quanto sia drammatico e lesivo dei diritti rendersi invisibile all’anagrafe è l’impossibilità di ottenere la carta d'identità o altra documentazione identificativa equipollente. Si tratta di documenti elementari per la realizzazione di attività correlate all'attuazione di un proficuo reinserimento sociale, quale, per esempio, l'apertura di un conto corrente presso un istituto di credito, per il sostegno anche alla vita familiare, oppure richiesti dall'Autorità di pubblica sicurezza per l'avvio di percorsi di regolarizzazione come la formalizzazione di istanze di accesso alia procedura per il riconoscimento della protezione speciale. Il Garante denuncia che la prassi delineata in carcere nei confronti degli stranieri, «configura una situazione di illegittimità sostanziale e si pone in netto contrasto con le regole generali in materia di convivenze anagrafiche e con la disciplina specifica introdotta come quarto comma dell'articolo 45 dell'Ordinamento penitenziario con il decreto legislative 2 ottobre 2018 n. 123».

La previsione ha riconosciuto a favore del detenuto e dell'internato privi di residenza anagrafica il diritto di iscrizione, su segnalazione del Direttore, nei registri della popolazione esidente del Comune ove e ubicata la struttura. La novella, infatti, è finalizzata ad assicurare alle persone detenute e internate l'accesso a tutte le prestazioni sociali a competenza territoriale e ad alcune importanti prestazioni socio- sanitarie ed e stata accolta dalla dottrina come il definitivo riconoscimento del diritto alla residenza anagrafica di tutte le persone sottoposte a una misura di privazione della libertà nell'ambito penale, a prescindere dalla tipologia del titolo di trattenimento ( una sentenza di condanna, una misura di sicurezza o una misura cautelare) e dalla nazionalità o dalla posizione di regolarità/ irregolarità amministrativa.

Secondo il Garante, «una diversa lettura dell'articolo 45 O. P., che in combinato disposto con altre norme dell'ordinamento, portasse a escludere parte della popolazione detenuta e internata dall'alveo della sua applicazione non sarebbe conforme allo spirito della norma esplicitamente finalizzata a fornire tutela proprio a coloro che accedono alle strutture di trattenimento senza alcun radicamento anagrafico». Il Garante aggiunge che si configurerebbe come una violazione del divieto di discriminazione censurabile in sede giudiziaria e si porrebbe in contrasto con i principi fondamentali della Carta costituzionale.