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Isolamento prolungato nelle cosiddette celle lisce, episodi ingestibili da parte degli agenti penitenziari, gravi gesti autolesionistici e non di rado suicidi. Il tema della salute mentale in carcere rappresenta uno dei nodi più difficili da sciogliere, per la necessità da una parte di garantire cure adeguate che rendano il contesto detentivo quanto meno possibile peggiorativo del disagio psichico, dall’altra per la necessità di assicurare la sicurezza della società libera e all’interno degli istituti stessi. Come abbiamo visto anche con la lettera – pubblicata su Il Dubbio di ieri – di Irene Testa, la garante della regione Sardegna, il problema è tuttora irrisolto a causa dell’inefficienza e degrado delle sezioni speciali apposite.
Bisogna partire da una premessa. Le persone con patologia psichiatrica autori di reato si divide in due gruppi, i “folli- rei” e i “rei- folli”. Per “folli- rei” si intendono le persone giudicate incapaci di intendere e volere, ma socialmente pericolose e dunque il gruppo di persone per cui all’epoca venivano rinchiusi negli allora ospedali psichiatrici giudiziari ( Opg) e oggi presso le Residenze per le Misure di sicurezza ( Rems).
Per “rei- folli” si intende invece quella categoria onnicomprensiva di persone giudicate capaci di intendere di volere, riconosciute colpevoli di un reato e per questo condannate a pena detentiva. Ed è per quest’ultimi che il vigente ordinamento penitenziario prevede la possibilità di assegnare detenuti affetti da patologie psichiatriche in sezioni speciali, oggi denominate “articolazioni per la salute mentale”, volte a garantire servizi di assistenza rafforzata per rendere il regime carcerario compatibile con i disturbi psichiatrici. In tali reparti si prevede che la permanenza nelle suddette sezioni non debba essere superiore a trenta giorni. Nascono così.
Dall’inizio degli anni Duemila, a partire dalla casa circondariale di Torino, si è iniziato a sperimentare la nascita di “repartini” o comunque sezioni speciali dell’istituto penitenziario che avessero lo specifico compito di occuparsi della salute mentale. La loro creazione ed effettiva gestione non è mai stata normata in maniera univoca e coerente sul territorio nazionale, ma affidata a fonti secondarie, ad atti interni all’amministrazione penitenziaria o ad accordi territoriali tra l’amministrazione penitenziaria e sanitaria.
Tali articolazioni, però, si trovano solo in poche decine di carceri, con il risultato del mancato rispetto della territorialità della pena e soprattutto con la troppa concentrazione di detenuti psichiatrici in pochi reparti. In generale, queste sezioni sono principalmente dedicate alla gestione sanitaria, ma rimangono comunque parte integrante delle strutture penitenziarie, con la presenza della polizia penitenziaria. Alcune di queste articolazioni sono inserite all'interno di reparti sanitari, mentre altre occupano spazi specifici. Tuttavia, come segnalato più volte anche dal Garante nazionale, il rispetto dei diritti delle persone detenute è spesso violato.
Sono stati riportati casi di contenzione. In particolare come è accaduto nel passato al carcere di Torino, emerge l'esistenza di ' celle lisce': quelle spoglie e prive di suppellettili. La permanenza prolungata in queste condizioni, oltre il tempo necessario per calmare l'individuo e oltre il termine della cosiddetta ' acuzia' ( fase iniziale dell'arresto in cui l'individuo può essere particolarmente agitato), può costituire un trattamento inumano e degradante. Basti pensare al recente caso segnalato da Maria Grazia Caligaris dell'associazione “Socialismo Diritti Riforme”, quello riguardante un ragazzo algerino di 19 anni tenuto in isolamento ogni tre giorni al carcere sardo di Uta. Senza ovviamente dimenticare ciò che ha riportato la garante regionale Irene Testa sul disagio non solo al carcere di Uta, ma anche al penitenziario di massima sicurezza di Bancali.
In generale, queste sezioni sono principalmente dedicate alla gestione sanitaria, ma rimangono comunque parte integrante delle strutture penitenziarie, con la presenza della polizia penitenziaria e l'applicazione delle norme carcerarie come in ogni altro settore. Alcune di queste articolazioni sono inserite all'interno di reparti sanitari, come nel caso di Cagliari, mentre altre occupano spazi specifici. All'interno di queste articolazioni si trovano persone che non possono essere curate e assistite nelle sezioni ordinarie delle carceri. La maggior parte di loro si trova in ' osservazione psichiatrica' secondo il quadro giuridico, che prevede un periodo iniziale di 30 giorni prorogabili, durante il quale viene valutata la compatibilità dello stato di salute psicofisico con la detenzione.
L'ingresso e l'uscita da queste articolazioni avvengono su decisione interna dell'amministrazione sanitaria e penitenziaria, senza alcuna previsione di un controllo giurisdizionale ( che invece avviene nel caso di ricovero in una struttura esterna al carcere). Lo scopo formale è quello di garantire a questi soggetti un’attività di tipo terapeutico e riabilitativo in maniera continuativa e individualizzata. Tuttavia, le criticità che si riscontrano all’interno di queste sezioni, in molti casi del tutto sprovviste di adeguati percorsi trattamentali e risocializzanti, finiscono per rendere nulle le intenzioni di cura che il legislatore si era posto come fine ultimo, diventando terreno fertile per il peggioramento delle patologie dei soggetti che ne vengono ristretti.