«Allo stato non ci risulta alcun conflitto tra Procure. Ci riserviamo di intervenire se dovessero emergere profili di criticità». Con queste parole il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini ha spiegato la decisione del Comitato di presidenza di Palazzo dei Marescialli di non autorizzare l’apertura di una pratica, richiesta dal consigliere Pierantonio Zanettin, sul caso Consip. «Reputo questi fatti molto gravi», ha aggiunto a proposito della «ri- velazione del segreto di indagine» e della «presunta falsificazione». E i fatti «richiedono che l’attività di indagine vada fino in fondo: per questo vogliamo fornire ai magistrati inquirenti la serenità nello svolgere il loro dovere. Questa vicenda mette a rischio la fiducia nella magistratura ed è questo che vogliamo contrastare» . Secondo il Comitato di presidenza, dunque, «è indispensabile garantire che le indagini di Roma e Napoli sul caso Consip mantengano preminenza assoluta e proseguano con prontezza ed efficacia, senza indebite sovrapposizioni e condizionamenti da parte del Csm».

La decisione, va detto, era nell’aria da giorni. Sia il ministro della Giustizia Andrea Orlando che il presidente dell’Anm Eugenio Albamonte si erano detti contrari ad un intervento del Consiglio superiore. Lo stesso pm napoletano Henry John Woodcock, in una intervista a Repubblica, aveva definito il collega romano Paolo Ielo un «amico», negando ogni conflitto fra le Procure.

Zanettin non condivide ovviamente la decisione. «Si tratta di un errore e di una occasione per- sa per il Csm». C’erano spazi per intervenire? Secondo il consigliere laico ed ex senator di Forza Italia, “il Csm si è lavato le mani del caso Consip, nonostante da una Procura della Repubblica abbia avuto luogo una fuga di notizie di una informativa della polizia giudiziaria, di oltre mille pagine, nonostante siano emerse alterazioni da parte di un capitano dell’Arma su una intercettazione che tira in ballo il padre dell’ex presidente del Consiglio, nonostante la Procura di Napoli abbia platealmente confermato la fiducia al Noe, specializzato nei reati ambientali ma estraneo alla materia degli appalti pubblici, subito dopo che la Procura di Roma gli aveva invece revocato la delega». E a proposito del reparto dell’Arma, Zanettin si chiede: «È opportuno che un magistrato si affidi a una polizia privata, come ha scritto Bruno Vespa?». Il riferimento è al rapporto “privilegiato” che il pm Woodcock ha con il Noe dei carabinieri. «C’è da chiedersi perché la Procura di Napoli si sia sempre avvalsa del capitano Scafarto, che per le informazioni in mio possesso, attinte semplicemente consultando l’annuario degli ufficiali dell’Arma Carabinieri, è in forza al comando di Roma e non di Napoli. Vedremo se a queste domande sarà in grado di rispondere il procuratore generale Luigi Riello al ministro Orlando!».

Una soluzione diversa era possibile? Secondo il consigliere che ha sollevato il caso, «la delicatezza del tema, che ha sconcertato l’opinione pubblica, avrebbe richiesto ben altra sollecitudine da parte del Csm, proprio a tutela dell’immagine e del prestigio di una magistratura che non si chiude a riccio ma dimostra di avere l’autorevolezza e la serenità necessarie ad affrontare col suo organo di autogoverno uno dei più controversi casi di interferenza giudiziaria sugli equilibri democratici della storia del Paese». La prima commissione dunque sarebbe dovuta intervenire: Zanettin ne è convinto. «Sotto l’autorevole guida del consigliere Fanfani avrebbe potuto svolgere un buon lavoro di analisi, come, peraltro, sempre ha fatto in questi anni, magari secretando tutti gli atti per evitare le paventate interferenze nelle indagini. Ricordo che in questa consiliatura solo un’altra volta il Comitato di presidenza ha respinto una mia richiesta di apertura pratica, guarda caso in un altro caso politicamente sensibile: l’inchiesta Expo, tenuta nel cassetto da Bruti Liberati. Poi è arrivata l’avocazione da parte del Pg di Milano Roberto Alfonso e il Csm non ha fatto quella che si definisce una bella figura».