Giovedì scorso un'altra vita si è spenta silenziosamente all'interno delle fredde mura della casa circondariale di Bologna. Una donna, già provata dalla durezza della detenzione, ha deciso di porre fine al suo calvario togliendosi la vita. Questo triste episodio, il ventiseiesimo (nel frattempo siamo arrivati a 27 con il suicidio a Torino) solo dall'inizio dell'anno, ha turbato la comunità e sollevato gli ennesimi interrogativi sulla situazione delle carceri italiane. In particolar modo, il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Bologna ha denunciato con forza le inaccettabili condizioni in cui versano gli oltre 850 detenuti, in una struttura originariamente progettata per metà degli attuali ospiti. Si tratta di individui vulnerabili, spesso afflitti da patologie psichiatriche e tossicodipendenze, lasciati senza alcun supporto né speranza di una vita migliore, né dentro né fuori dal carcere. Una denuncia che il Coa bolognese ha diffuso attraverso un comunicato rivolto a tutte le autorità, dalla magistratura di sorveglianza al ministero della giustizia, evidenziando l'urgente necessità di un intervento concreto per affrontare la crisi umanitaria nelle carceri.

Al Sindaco di Bologna viene rivolto un appello affinché prenda coscienza della triste realtà che affligge la sua città: un luogo dove le vite sembrano valere meno e la speranza svanisce a causa della mancanza di sostegno. Il Coa propone un incontro per esaminare insieme come l'amministrazione comunale possa contribuire a migliorare questa situazione. Rivolgendosi alla Magistratura di sorveglianza, si chiede di non restare inattiva di fronte a questa emergenza. È fondamentale che i magistrati visitino le carceri e vedano con i propri occhi le condizioni in cui vivono i detenuti. In particolare, la magistratura di sorveglianza ha il dovere di garantire i diritti fondamentali dei detenuti. Ai rappresentanti della Politica viene richiesto un intervento urgente per porre fine a questa tragica realtà. Il sovraffollamento, la carenza di personale e le condizioni disumane delle carceri sono semplicemente inaccettabili e richiedono azioni immediate.

Il Coa sostiene la necessità di adottare misure straordinarie come l'amnistia e l'indulto, non come forme di impunità, ma come gesti di equità e clemenza. Di fronte a questa strage silenziosa, lo Stato deve assumersi la responsabilità di garantire la dignità di tutti i cittadini, compresi quelli detenuti. La vera vergogna risiede nel fatto che lo Stato non sia in grado di assicurare condizioni umane all'interno delle sue carceri. L’ordine degli avvocati di Bologna si impegna quindi a vigilare costantemente sulla situazione e a promuovere azioni concrete volte a migliorare le condizioni del penitenziario.

Sempre il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna, assieme all’osservatorio carceri della Camera Penali, proprio qualche giorno prima del suicidio, ha effettuato la visita al carcere la Dozza di Bologna, portando luce le criticità del penitenziario. I dati raccolti durante la visita rivelano un quadro desolante: sovraffollamento dilagante, scarsità di personale penitenziario e sanitario, mancanza di programmi educativi e formativi, condizioni igieniche precarie e una gestione carente delle emergenze legate alla salute mentale dei detenuti. Le sezioni visitate, dai reparti di alta sicurezza alle aree destinate alla salute mentale, sono apparse come luoghi dove la dignità umana è un concetto estraneo. Topi, muffa, docce in condizioni disastrose e l'assenza di offerte educative sono solo alcune delle aberrazioni riscontrate. Inoltre, la situazione dei detenuti stranieri e dei giovani neo-maggiorenni, entrati in Italia come minori non accompagnati, aggiunge ulteriori sfide a un sistema già al collasso. Sebbene siano in corso sforzi per migliorare la situazione, come il progetto di rilancio del caseificio con Granarolo e l'officina metalmeccanica gestita dalla Fare Impresa in Dozza, questi sforzi appaiono come gocce in un mare di disperazione.

Il suicidio della donna – e come se non bastasse ieri un’altra detenuta della medesima sezione ha tentato di togliersi la vita -, fa anche comprendere che non sempre il sovraffollamento è la causa principale dei suicidi in carcere. La vera causa è un sistema della giustizia e delle carceri che è sostanzialmente incostituzionale, che non serve al reinserimento, alla rieducazione, che non dà speranza, produce solo isolamento, solitudine, criminalità, sofferenza, disperazione, morte. A tal proposito, l’avvocato Ettore Grenci, referente della commissione diritti umani del Coa di Bologna, condivide con Il Dubbio tale prospettiva: «Gli ultimi tragici eventi riguardanti le detenute nel carcere di Bologna ci fanno capire che attribuire la colpa esclusivamente al sovraffollamento è riduttivo. Nella sezione femminile, infatti, il numero delle detenute è limitato. Il problema, in questo contesto, risiede nella mancanza di progetti lavorativi, nell'approccio quasi inesistente al disagio mentale e nell'eccessivo ricorso agli psicofarmaci. Questa situazione determina un totale assenza di supporto e di speranza, il che, associato a problemi psichici, purtroppo può condurre a gesti estremi».