È un esercito di invisibili. Circa 30mila ragazzini - ma qualcuno è pronto a giurare che siano almeno 50mila - allontanati dalle loro famiglie per i motivi più svariati. Povertà, tossicodipendenze, conflitti di coppia, egocentrismo. Le pratiche, nei tribunali dei minori, si accumulano. A Milano, ad esempio, possono essercene anche sei mila di faldoni in attesa di essere studiati. Loro, intanto, non vedono i genitori, nonostante le direttive europee, che privilegiano il ricongiungimento. Stanno in case famiglia - circa 1800 strutture da Nord a Sud - che ricevono rette variabili a seconda della salute delle casse dei Comuni. In alcuni casi quei bambini valgono 20 euro. Nel migliore dei casi, invece, 500. Si paga di più al Nord, di meno al Sud, dove però il numero di bambini strappati alle famiglie è più alto.Non sono nemmeno tutti uguali, come vorrebbe la Costituzione, questi piccoli soldati, che fanno guadagnare agli istituti circa un miliardo l'anno. I dati scarseggiano, nonostante le prescrizioni di legge: gli ultimi rapporti messi a disposizione dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali parlano di una cifra che si aggira tra i 30mila e le 40mila bambini, prevalentemente di età compresa tra gli zero e i due anni e i tra i 15 e i 17.A leggerli quei pochi numeri a disposizione fanno rabbrividire: il 61% dei piccolissimi finiscono in comunità. Non solo non tornano a casa, dai loro genitori, come vorrebbe la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, ma non ne trovano nemmeno una "nuova".Le sentenze pronunciate dalla Cedu contro l'Italia parlano chiaro: «Uno Stato non può legittimamente interrompere il rapporto umano più fondamentale, che è quello tra genitori e figli». Deve essere l'extrema ratio, l'ultima spiaggia. E invece in Italia non è così. «Sono 15 anni che la Cedu stigmatizza il comportamento dell'Italia di recidere il legame tra figli e genitori», dice Anton Giulio Lana, avvocato e professore di tutela europea dei diritti umani, che di casi come questi ne ha seguiti diversi. Lana ha presentato lo scorso 17 giugno una relazione sul tema alla Camera dei deputati, evidenziando l'obbligo dello Stato di non interferire arbitrariamente e, piuttosto, tutelare la vita familiare. Un bilanciamento difficile che ha come obiettivo, sempre e comunque, l'interesse superiore del minore. Le sentenze che condannano l'Italia ci dicono questo: che ciò che è venuto a mancare, nei casi analizzati, è proprio la tutela degli interessi del minore. «Il sistema italiano presenta dei limiti in tema di protezione della famiglia», spiega Lana. Anzi, il nostro paese ha più volte "invaso" lo spazio riservato al rapporto tra genitori e figli. Trasgredendo le sue stesse leggi, precisa l'avvocato. «Quella sulle adozioni internazionali - spiega - prevede all'articolo 1 che gli assistenti sociali facciano il possibile per ricongiungere il minore alla famiglia». I nostri tribunali, però, «sono inclini a passare subito alle eccezioni».UN BUSINESS?Il dubbio più sconvolgente è che quello degli allontanamenti sia un modo per ingrassare le case famiglia. O almeno questo è il tarlo di Francesco Morcavallo, dal settembre 2009 al maggio 2013 giudice presso il Tribunale dei minorenni di Bologna. In un'intervista rilasciata a Panorama nel 2013, l'ex giudice, ora avvocato, lancia un allarme serio. «Chi sono i giudici onorari? Sono psicologi, sociologi, medici, assistenti sociali. Che spesso hanno fondato istituti. E a volte addirittura le stesse case d'affido che prendono in carico i bambini sottratti alle famiglie, e proprio per un'ordinanza cui hanno partecipato - spiega -. Certi fanno 20-30 udienze a settimana e incassano le parcelle del tribunale, ma intanto lavorano anche per gli istituti, le cooperative che accolgono i minori. E` un business osceno e ricco, perché quasi sempre bambini e ragazzi vengono affidati ai centri per mesi, spesso per anni».Una denuncia grave, che rimane ancora senza una risposta. Quello che è certo è che le sentenze contro l'Italia fissano dei paletti che ancora non vengono rispettati, evidenziando serie criticità. Come il fatto di aver tolto la patria potestà in maniera eccessivamente drastica «e tale da pregiudicare irreversibilmente i rapporti fra minori e famiglia». È questo il contenuto di una sentenza spartiacque, datata 2000.SCOZZARI - CONTRO ITALIAÈ un caso emblematico, che avrebbe dovuto essere un promemoria per l'Italia per evitare errori simili. È la storia di Dolorata Scozzari, madre di due bambini, nati dal matrimonio col belga N., condannato nel suo paese ai lavori forzati. Dopo un periodo in Belgio, la donna si trasferisce in Toscana. Ed è qui che inizia l'incubo. Nel 1997 Dolorata scopre che il figlio è stato vittima di abusi da parte di un assistente sociale, che lo stava aiutando. L'uomo viene arrestato e condannato, mentre la famiglia di Dolorata viene aiutata dalla Caritas. Il Tribunale dei minori però decide di mandare i bambini in una comunità, Il Forteto, sospendendo la patria potestà ad entrambi i genitori. In due anni e dieci mesi, Dolorata vede i figli solo due volte. Ci sono di mezzo ricorsi e sentenze disattese, finché la Corte europea non mette nero su bianco l'assurdo. «Non si capisce su quale base il Tribunale dei minorenni abbia potuto prendere una decisione tanto severa e pesante di conseguenze psicologiche per gli interessati». E poi: «la pratica mostra che bambini sottoposti ad una tale misura non recuperano mai una vita familiare all'esterno della comunità. La Corte non vede alcuna valida giustificazione al fatto che il collocamento dei figli non sia munito di un limite temporale». E per questo ha condannato lo Stato al risarcimento di 200 milioni di lire.Sono bambini "rapiti della giustizia". E a volte condannati ad un inferno peggiore. Il caso Scozzari, infatti, dice di più. Alla riunione in Procura in cui si decise «la collocazione» dei bambini al Forteto, ha partecipato anche L. R. F., uno dei responsabili della comunità. Un uomo già condannato per maltrattamenti e abusi sessuali commessi su ospiti del Forteto, insieme a un altro degli assistenti sociali che si era già occupato del figlio di Dolorata. La Corte ha anche notato un'«influenza crescente dei responsabili del Forteto», sui bambini, con lo scopo «di allontanare questi dalla propria madre». Situazioni ambigue che avrebbero dovuto indurre il tribunale «ad esercitare una maggiore sorveglianza riguardo al controllo dei bambini all'interno del Forteto, e all'influenza dei responsabili su di loro e sulle loro relazioni con la madre». Questo, però, non si è verificato. E l'Italia non ha imparato nulla.