Il giustiziere è sempre stato anche il vendicatore e il liberatore. Nella stagione di Mani Pulite, Antonio Di Pietro inchiodò davanti alla tv milioni di cittadini/ e e infiammò anche le persone meno sospette di accondiscendenza riguardo al suo modo di operare. Se poi il giustiziere o la giustiziera è chi ha subito l’offesa, la violenza, il sopruso - come nel caso delle donne che in vari Paesi stanno denunciando molestie, stupri e ricatti -, l’eccitazione e il plauso arrivano al massimo, e di conseguenza anche l’animosità verso chi non riesce a infervorarsi allo stesso modo o, peggio ancora, verso chi avanza dubbi. Inutile dire che di fronte a un’onda montante sempre più incontrollabile, l’esercizio della critica è quanto di più prezioso ci si possa augurare. In Italia, più che dissensi, ci sono state voci che invitavano alla discussione o che avanzavano dubbi, intravedevano rischi. Tra queste anche la mia. Giustamente Loredana Lipperini, in un post su facebook faceva notare che è diverso parlare di stupro, di aggressione o ricatto sessuale sul lavoro o di molestie, tenendo conto che esistono anche “infinite sfumature” fuori da questi quattro casi. Ma, soprattutto, diceva quello che già sappiamo, e cioè che “la fascinazione del potere di lui” e, da parte dell’uomo, “la fascinazione della giovinezze e della mancanza di potere di lei” sono una componente del desiderio. Aggiungerei soltanto che si tratta del desiderio così come lo abbiamo ereditato da una cultura che ha considerato “naturale” per l’uomo l’attività, per la donna la passività, per lui la forza, la competizione, la conquista, per lei il dovere di rendersi desiderabile, soddisfarne le esigenze sessuali, assicurargli una discendenza, sostenerlo nel suo impegno civile. Seduzione e maternità - per quanto finalizzate al privilegio maschile - non potevano non essere impugnate dalle donne come un potere sostitutivo di altri, negati, tanto da garantire loro qualche piacere, impedire che diventassero solo schiave, prede, oggetti, mezzi “per un fine”. L’uomo stesso non poteva che nutrire verso quel corpo differente dal suo, sottomesso ma potentemente necessario al suo piacere a alla sua sopravvivenza, contraddittoriamente amore e odio, desiderio e paura, dipendenza e superiorità. E’ una storia senza dubbio complessa e ambigua quella che ha visto l’uomo accanirsi sul corpo che lo ha generato, che gli ha dato le prime cure e che incontra nella vita amorosa adulta, assumendo su di sé, come padre, marito, amante un potere che va dalla violenza manifesta a tutte le forme invisibili, confuse con l’amore, che portano alla sottomissione, alla dedizione femminile. Come si legano questa consapevolezza, arrivata alla storia in tempi relativamente recenti, e le pratiche con cui il femminismo fin dagli anni Settanta ha cercato di svincolare ruoli e identità imposte e dalle donne inconsapevolmente fatte proprie, con la campagna Me- Too? Dal caso Weinstein in avanti, quello che è successo è sotto gli occhi di tutti. Tolto il silenziatore su abusi, ricatti sessuali e molestie nei rapporti di lavoro, svelato il legame che c’è sempre stato, nella vita pubblica, tra potere e sessualità, la ribellione ha preso la via e la rappresentazione più facili e più contagiose: il cacciatore e la preda, la vittima e l’aggressore, la Bella e la Bestia, il Bene e il Male. Cancellata l’ambiguità su cui si è costruito il dominio maschile, intrecciato con le vicende più intime, cancellata la parte che le donne, loro malgrado, hanno avuto nel trasmetterlo. Sull’editoriale di Maurizio Molinari sulla Stampa di domenica 21 gennaio si legge: «E’ un’atmosfera che si respira ovunque: nei tribunali dove fioccano le denunce contro i molestatori, sui media dove dilagano le testimonianze più dettagliate, nelle cene tra amici dove si discute di vittime e colpevoli, dentro le aziende che studiano regolamenti più rigidi (…). Dove gli avversari da battere non sono gli uomini come categoria ma solo quei singoli che danneggiano il prossimo e indeboliscono i diritti di tutti». Il problema non è più quello di ricomporre i pezzi che man mano vengono allo scoperto di un sistema, di una cultura, di una dominazione che deve la sua durata al fatto - come dice Pierre Bourdieu - di essere inscritti nelle istituzioni pubbliche ma anche “nell’oscurità dei corpi”, ma solo di togliere di mezzo le mele marce, separando il Bene dal Male, la normalità dalla perversione. Se per il femminicidio si è potuto faticosamente uscire dalla patologia del singolo, il Me-Too sembra avviato a procedere in senso opposto, anche se il consenso che riceve può avere l’apparenza di una pratica collettiva. Dopo la messa alla gogna e i processi mediatici di Di Pietro, la corruzione è tornata a proliferare più rigogliosa che mai. “Se non ora quando” ha fatto cadere il governo di Berlusconi ma, da quello che vediamo oggi, non ne ha incrinato la credibilità umana e politica. In Italia non c’è Hollywood e non c’è Trump, ma c’è un settore delicatissimo e già nell’occhio di chi preme per la sicurezza, il controllo, la denuncia, l’espulsione: è la scuola. Le molestie, in questo caso, significano abuso, violenza su minori. Capri espiatori non saranno quei pochissimi insegnanti di sesso maschile che tentano approcci con le loro allieve, ma le donne presenti nella stragrande maggioranza, e le più esposte saranno quelle che tentano di aprire il loro compito educativo alle problematiche del corpo, della sessualità, dei generi. E’ già accaduto, ma mentre in passato era qualche isolato genitore o insegnante di religione a denunciare, adesso sono parrocchie e famiglie organizzate a farsi giustiziere in nome dei valori tradizionali. Chiediamoci se non vanno nella stessa direzione le proposte di legge in materia di video sorveglianza nelle scuole di infanzia e di test attitudinali per le maestre.