Di nuovo soldi per la costruzione di nuove carceri e lavoro gratuito, nessuna richiesta di risorse per attuare una politica basata sulle misure alternative, salute e rieducazione. Nel lungo elenco dei progetti stilato dal governo italiano per chiedere i fondi europei del Recovery Fund, ci sono anche quattro voci riguardanti il sistema penitenziario.

La prima è sotto il nome “Architetture per la rieducazione”. Con una richiesta di 300 milioni di euro, viene così motivata: «Riqualificazione del patrimonio immobiliare penitenziario mediante interventi di miglioramento della performance funzionale, in termini di aumento della capacità ricettiva dei complessi penitenziari, di lotta al sovraffollamento e di realizzazione di nuove strutture edilizie, sempre più vicine alle ordinarie strutture urbane, finalizzate all’obiettivo della rieducazione e del reinserimento sociale».

L’altra voce riguarda i cosiddetti “lavori di pubblica utilità”, ovvero quelli non pagati e dove i detenuti decidono di lavorare a titolo volontario. Il governo, in questo caso, chiede 45 milioni. Eppure Il lavoro vero, quello con formazione, stipendio e orari può migliorare le condizioni delle galere, ma anche in questo caso non sembrerebbe una questione prioritaria. Al 31 dicembre 2019, prima della pandemia, su 60.769 detenuti lavoravano in 18.070, cioè il 29,7 per cento. Ma se poi si va a fondo, di questi che lavorano, solo 2.381, cioè il 4 per cento del totale, sono assunti da imprese e cooperative. Gli altri 15.689 svolgono attività alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria: addetti alle pulizie, alla lavanderia e alla cucina, cuochi e manutentori.

La terza voce riguarda la prevenzione antisismica. Con una richiesta di 300 milioni, viene così motivata: «Riqualificazione del patrimonio immobiliare penitenziario mediante interventi di miglioramento della performance strutturale, in termini di mantenimento della capacità ricettiva dei complessi penitenziari, anche in situazioni critiche per la sicurezza e l’ordine pubblico ( ad es. eventi sismici rilevanti)».

La quarta e ultima voce è presentata con il titolo “Remote Surveillance Development”. La richiesta è di 60 milioni e viene spiegato che la risorsa serve per la «riqualificazione del patrimonio immobiliare penitenziario mediante interventi di miglioramento della performance funzionale, in termini di sicurezza gestionale penitenziaria interna e perimetrale. Riqualificazione professionale del personale tecnico e amministrativo interno e di Polizia Penitenziaria, prevedendone un consistente impiego nella manutenzione impiantistica delle tecnologie informatiche nella sicurezza».

La spesa maggiore per i penitenziari riguarda nuovamente il discorso edilizio. Eppure nel 2019, il ministro della Giustizia ha già dato il via al cosiddetto piano carceri che consisteva nella realizzazione di nuovi penitenziari e riconvertendo in parte caserme dismesse e immobili di proprietà dello Stato. Il costo? Venti milioni derivanti dalla legge di Bilancio del 2019 e una quota di 10 milioni derivanti dal Fondo per l’attuazione della riforma dell’ordinamento penitenziario. Chiaramente insufficienti, ma che ora potrebbe trovare linfa vitale dal fondo economico messo a disposizione dall’Unione Europea. La stessa Europa che però, attraverso il suo Consiglio, ha recentemente indicato la via delle misure alternative per ridurre il sovraffollamento.