«Abbiamo una posizione fortemente critica al 41 bis per come si è evoluto. Noi comprendiamo le finalità del regime differenziato nato come misura transitoria ed eccezionale sull’onda delle stragi e che è volto a recidere ai boss mafiosi i contatti con l’organizzazione di appartenenza, ma le misure ulteriormente afflittive e l’illimitata e reiterata applicazione rischiano di mettere in discussione la natura stessa del 41 bis».

È ciò che ieri ha sostenuto l’avvocato Gianpaolo Catanzariti, responsabile dell'Osservatorio carcere delle Camere penali, durante l’audizione presso la commissione antimafia presieduta da Nicola Morra e volta ad approfondire i profili applicativi del 41 bis. Catanzariti, ringraziando la commissione per averli invitati, ha ricordato l’importanza dell’osservatorio carceri composto dagli avvocati penalisti che svolgono le visite in carcere per monitorarne le condizioni, sottolineando l’importanza delle visite di ferragosto organizzate dal Partito Radicale e dove – grazie alla disponibilità del Dap – gli avvocati stessi hanno potuto visitare ben 60 carceri.

L’unica osservazione che ha voluto però sottolineare è la mancata autorizzazione del Dap ai penalisti di poter verificare le condizioni del 41 bis. «Tale regime – ha ricordato sempre Catanzariti – fin dal 1995 ad oggi è sotto l’occhio degli organismi internazionali di cui noi come Paese facciamo parte, come ad esempio il comitato europeo per la prevenzione della tortura del consiglio d’Europa che ultimamente ha redatto un rapporto proprio sul regime duro, ma attende ancora l’autorizzazione del governo italiano per renderlo pubblico».

Come detto, il rischio che le corti superiori mettano in discussione il 41 bis è davvero concreto. «Questo perché diversi profili di applicazione non rientrano nel perimetro costituzionale e infatti – ha spiegato il presidente dell’osservatorio carcere – molto spesso la Consulta è dovuta intervenire per dichiarare incostituzionale alcune restrizioni del tutto ingiustificate». In sintesi, si rischia di andare al di fuori dalla finalità del regime del 41 bis e quindi, di fatto, travolgendo il senso dell’articolo 27 della costituzione.

«C’è il sospetto – sottolinea sempre Catanzariti – che il 41 bis venga utilizzato per costringere alla collaborazione il detenuto e quindi va contro la finalità stessa per il quale era stato introdotto». A proposito della transitorietà, sempre il penalista ha evidenziato decine di casi di detenuti che sono ininterrottamente al 41 bis da oltre 20 anni. Infine ha ricordato il problema degli internati, cioè coloro che hanno già finito di scontare la pena ma rimangono al 41 bis come misura di sicurezza, oppure le aree riservate del regime duro che sono un doppio isolamento. Un vero e proprio super 41 bis.

Sulla stessa linea l'avvocata Piera Farina, esponente dello stesso Osservatorio e che conosce molto approfonditamente la questione del 41 bis, la quale – sempre in commissione antimafia - ha osservato che con la riforma del 2009 «sono state introdotte restrizioni sulle ore all'aria aperta e sui colloqui con i familiari che nulla hanno a che vedere con le finalità del 41 bis. Bisogna intervenire sulle criticità per rendere l'applicazione dello strumento conforme alla Carta costituzionale».