Paola Balducci La questione concernente il binomio carcere-detenuti è tema estremamente delicato, che dovrebbe essere inquadrato e definito, una volta per tutte, all’interno del sistema giuridico delineato dal legislatore, lasciando da parte qualsiasi tipo di sentimento od orientamento politico. L’intero sistema penale, di cui fa evidentemente parte quel segmento finale qual è l’esecuzione e l’espiazione della pena, deve essere considerato alla luce del dettato normativo, primo fra tutti quello costituzionale. E, d’altronde, non può essere diversamente: la libertà personale è, sì, un diritto fondamentale, a tutti noto e a tutti caro, ma soprattutto inviolabile. Questa è la premessa necessaria, dalla quale si deve partire per la costruzione (per niente facile) di un sistema che tenga conto di diritti e di doveri, di facoltà e di responsabilità, di azioni e di conseguenze, nell’ottica dell’instaurazione di un dialogo tra di essi, finalizzato ad ottenere un compromesso, e reciproche concessioni. All’interno di queste coordinate si colloca il quadro normativo, nazionale e sovranazionale, che positivizza l’esecuzione della pena, intesa nel senso più ampio: è questo il parametro di verificabilità della tanto agognata Giustizia. Essere stati condannati all’esito di un processo penale non significa, per ciò solo, dover passare il resto dei giorni in una cella. Le azioni che commettiamo sono tra loro eterogenee e di questa diversità deve tenersi conto – come il legislatore ben fa. Da qui, la previsione di misure, appunto, eterogenee, da una parte accomunate dal perseguimento di un obiettivo comune, qual è il reinserimento sociale del condannato, dall’altra contraddistinte dal soddisfacimento di un determinato tipo di esigenza. Da questa prospettiva devono essere considerati, ad esempio, gli strumenti premiali e le misure alternative alla detenzione. La loro previsione, infatti, non si ispira a ragioni di “clemenza” quanto, piuttosto, alla necessità di assicurare una certa proporzionalità, anche nelle modalità di espiazione della propria condanna. Si badi bene, il principio di proporzionalità – che trova terreno fertile nel sistema penale proprio in ragione di quella libertà personale, di cui si è parlato – non è soddisfatto solo dall’irrogazione di una pena che sia congrua rispetto al fatto commesso. Esso trova campo di applicazione anche nel momento immediatamente successivo, e cioè quando quella pena deve essere in concreto eseguita: tra le diverse modalità di espiazione, pre-determinate dal legislatore, deve essere scelta quella che garantisce il reinserimento sociale del detenuto alla luce di un trattamento penitenziario individualizzato. Se così non fosse, infatti, il condannato non percepirebbe la “giustizia” insita in quella risposta sanzionatoria, rispetto al comportamento dallo stesso tenuto, e la sua rieducazione resterebbe solo un bel sogno infranto. Sulla carta, quindi, tutto sembra funzionare. Nella sostanza, invece, non pochi sono i conti che si devono fare con tutto quello che sta intorno al panorama carcerario. Non si possono certo dimenticare le condanne ricevute dal nostro Paese da parte del sistema sovranazionale, che hanno denunciato l’esistenza di un problema endemico e strutturale degli Istituti penitenziari, facendo emergere da acque torbide la questione del sovraffollamento. Non si può certo nascondere la carenza di risorse, sia personali, sia strutturali, che, è evidente, rende più difficile quel percorso di reinserimento nella società. Così come non si può far finta che questa situazione non riguardi tutti, indistintamente: sia chi è semplice spettatore, sia chi, giustamente o ingiustamente, è stato privato della sua libertà. Il problema c’è, ed è reale e, pertanto, deve essere risolto. La situazione di emergenza sanitaria ha ben mostrato, e dimostrato, l’insufficienza (non formale ma sostanziale, lo si ribadisce) e l’impotenza di un sistema penitenziario che, con grande fatica, ha cercato di rimanere indenne e di sopravvivere davanti l’imprevisto e imprevedibile. I dati sono chiari: il virus si è diffuso negli Istituti penitenziari, sia tra chi vi è ristretto, sia tra chi presta in quei luoghi la propria attività lavorativa. E, certo, non potevamo immaginare un finale diverso se consideriamo i numeri di affollamento o, per meglio dire, di sovraffollamento delle strutture. Assicurare e garantire il rispetto del distanziamento sociale, così come fa ognuno di noi nei confronti, e per il bene dell’altro, è praticamente impossibile. La reazione a catena, che si è innescata davanti l’imprevisto, era prevedibile. Ed anzi, era stata prevista e paventata dai più già mesi e mesi fa, quando non si faceva altro che dibattere, incessantemente, sulla questione del sovraffollamento, nell’intento di “riportare in voga” un problema che si cerca in tutti i modi di far restare latente. Ma, a quanto pare, le richieste di aiuto da parte di chi ha cuore la sorte dei detenuti non sono valse a nulla, o quasi. La flessibilità del sistema normativo delineato dal legislatore ha certo aiutato gli operatori del diritto a rendere meno devastanti le conseguenze di questa vicenda storica, già note ai più. Ma tamponare la situazione non significa risolverla e, soprattutto, non significa eliminare in radice il problema. E, infatti, quel problema è riemerso, così travolgendo e cancellando tutti gli sforzi compiuti. Ma davvero dobbiamo continuare a chiudere gli occhi? Davvero dobbiamo ancora far finta che il problema non esista? Davvero dobbiamo continuare a chiedere aiuto e, nonostante ciò, non essere ascoltati? Oggi, il dibattito sulla questione torna in scena con più vigore: prese di posizioni forti, sfociate in comportamenti simbolici, come scioperi della fame, che cercano di affermare con più forza quello che le parole, a quanto sembra, non sono riuscite ad esprimere. Tutto questo dovrebbe far riflettere e dovrebbe spronare ad agire, concretamente, evitando di correre al riparo solo quando ci si trovi obbligati a farlo. La Corte europea dei diritti dell’uomo e la Costituzione sono chiare a tal proposito: i nostri diritti sono anche i diritti dei detenuti.