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I fratelli Savi della “Uno bianca”, da qualche mese, si trovano nello stesso carcere ed è polemica. Fabio Savi aveva chiesto e ottenuto il trasferimento dal carcere sardo di Uta ( Cagliari) e ora si trova anche lui nella casa circondariale milanese di Bollate dove c’è il fratello Roberto. Entrambi, condannati all’ergastolo, si trovano ininterrottamente reclusi da più di 23 anni per le loro violenze e omicidi commessi tra il 1987 e il 1994. È sorpresa e sconfortata Rosanna Zecchi, presidente dell’associazione dei parenti delle vittime della banda della Uno Bianca e moglie della prima vittima, nell’apprendere la notizia. “Fino ad ora i fratelli Savi non erano mai stati nello stesso carcere - dice la Zecchi - e devo dire che questa cosa non mi piace affatto, anzi mi preoccupa. Per noi parenti delle vittime è l’ennesima ‘ botta’, che arriva dopo i permessi premio concessi all’altro fratello, Alberto, e a Marino Occhipinti”.
Da tempo Fabio Savi, 57 anni, chiedeva di poter scontare la sua pena in una struttura penitenziaria che permettesse di poter svolgere attività lavorative e per questo motivo ha inoltrato personalmente la richiesta di trasferimento dopo il parere favorevo- le degli assistenti sociali. Inoltre, si aggiunge anche il discorso della territorialità della pena, cioè l’opportunità per un detenuto di scontare il suo debito il più possibile vicino al proprio ambiente di origine. Si tratta di un principio democratico che è stato sancito per contemperare due aspetti inscindibili: quello giuridico, legato alla Carta costituzionale, e quello sociale, rispettoso dell’equità e appartenenza. La Costituzione stabilisce infatti che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione. Le norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle pene indicano infatti come finalità delle misure privative della libertà la loro funzione rieducativa per il reinserimento sociale di chi ha sbagliato. Sì, perché prima o poi i fratelli Savi dovranno uscire dal carcere, moti- vo per cui il discorso lavorativo è di vitale importanza. E il carcere di Bollate, si sa, è un esempio virtuoso in questo senso. Il regime attuale dell’ergastolo deriva da rilevanti modifiche introdotte nell’ordinamento con la Legge 25 novembre 1962 n. 1634. Tale legge oltre ad abrogare il 3 º e 4 º comma dell’art. 22 ( che si occupavano dell’esecuzione dell’ergastolo in una colonia o in un possedimento d’oltremare), ha mutato il 2 º comma della versio- ne originaria dell’art. 22, ammettendo l’ergastolano al lavoro all’aperto fin dall’inizio ( mentre prima poteva esserlo soltanto decorsi tre anni). Inoltre, la Legge 1634 del 1962 ha innovato la disciplina della liberazione condizionale, ammettendovi il condannato all’ergastolo, quando abbia effettivamente scontato ventotto anni di pena. Ulteriori importanti temperamenti del rigore esecutivo dell’ergastolo sono stati introdotti, poi, con la Legge n. 354 del 1975 sull’ordinamento penitenziario.
Con tale legge, sono stati innanzitutto, aboliti gli istituti penitenziari distinti in cui tale pena era scontata: i condannati sono ora assegnati a normali ' case di reclusione'. Infine l’art. 14 della Legge 10 ottobre 1986 n. 663 ha poi previsto la possibilità di includere l’ergastolano nel regime di semilibertà dopo l’espiazione di almeno venti anni; mentre l’art. 18 della Legge 10 ottobre 1986 n. 663 ha espressamente consentito di riferire all’ergastolano, quando dia prova di partecipare all’opera di riadattamento sociale, la detrazione di pena per ciascun semestre di pena detentiva scontata, in particolare al fine dell’anticipazione della liberazione condizionale rispetto al termine minimo fissato dall’art. 176 del Codice penale. L’art. 9 della Legge 663 del 1986 ha poi introdotto l’art 30- ter dell’ordinamento penitenziario che consente dopo dieci anni di reclusione - eventualmente ridotti di un quarto per l’attribuzione del beneficio della liberazione condizionale - l’ammissione per i condannati all’ergastolo ai permessi premio per non più di quarantacinque giorni l’anno. Infatti, ad esempio, sia il fratello Alberto e l’ex complice Marino Occhipinti avevano avuto un permesso premio come consentito dalla legge. Ma anche in quel caso scoppiarono forti polemiche. Eppure tutto ciò è contemplato dalle leggi proprio per fare fede all’articolo 27 della Costituzione che, tra le altre cose, prevede il recupero di chi ha sbagliato. Anche nei confronti di feroci assassini come i fratelli Savi, quando erano poco più che ventenni.