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Era la primavera del 2014 quando Fabio Mantovani, presidente dell'Ordine degli avvocati di Vicenza, dopo averle provate tutte, giocò la sua ultima carta per sensibilizzare l'opinione pubblica nazionale sulla disastrosa situazione del locale Palazzo di giustizia. Presentare «domanda di fallimento per insolvenza» del Tribunale berico in quanto non più in grado di adempiere alla sua basilare funzione giudiziaria. Un gesto sicuramente eclatante che, però, alla luce di quanto è accaduto in questi giorni ha sortito l'effetto desiderato.Un passo indietro. La provincia di Vicenza, uno dei distretti economici più importanti del Paese, per anni non ha avuto un ufficio giudiziario all'altezza. Una sede fatiscente, scoperture d'organico sia fra i magistrati che fra il personale amministrativo, per lungo tempo, addirittura, senza un presidente titolare. Come spesso capita in Italia, purtroppo, è necessario arrivare un momento prima del punto di non ritorno per poi invertire la rotta.Grazie alla sponda del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Giovanni Legnini, il primo passo è stato quello di far nominare in tempi rapidi il presidente del Tribunale. La scelta è ricaduta l'anno scorso su Antonio Rizzo, un magistrato concreto che, una volta insediatosi, si è immediatamente rimboccato le maniche per risolvere gli atavici problemi. Uno dei primi era costituito dall'arretrato nel settore civile, schiacciato da oltre 12.000 fascicoli che, ironia della sorte, rischiavano di non trovare spazio nella nuova sede del Palazzo di giustizia, destinata per altro ad accogliere anche il disciolto Tribunale di Bassano. Con tutti i disagi del caso, fra cui quello di spendere subito 700mila euro per l'acquisto degli archivi rotanti destinati a contenere questa valanga di carta.Visto che in tempi di spending review non è cosi facile reperire al ministero della Giustizia somme simili, l'uovo di Colombo fu la creazione di una task force di detenuti che provvedesse alla digitalizzazione dei fascicoli cartacei, evitando che, per tale scopo, fosse sottratto personale amministrativo dalle altre incombenze di servizio.E cosi, 11 detenuti del locale carcere San Pio X, dopo un corso di alfabetizzazione informatica presso il Coespu, il Centro di alta formazione dell'Arma dei Carabinieri che ha sede proprio a Vicenza, in sei mesi di lavoro senza soste sono riusciti a digitalizzare l'intero, impressionante carico dei 12.000 fascicoli disponibili solo su carta. Un risultato a cui in pochi all'inizio confidavano.«È stato raggiunto un obiettivo importante non solo nell'ottica di una maggiore efficienza e riduzione dei costi, ma anche per quanto riguarda il processo rieducativo di alcune persone che proprio dal tribunale erano state condannate a scontare la loro pena in carcere», ha detto la scorsa settimana Rizzo commentando la fine del lavoro di digitalizzazione. A cui, per la cronaca, hanno collaborato anche dei volontari il cui costo per la copertura assicurativa è stato affrontato dall'Ordine degli avvocati di Vicenza.Una best practice, questa messa in atto al Tribunale di Vicenza, che potrà certamente essere replicata in altre parti d'Italia. Una sinergia fra vari soggetti istituzionali - Tribunale, Ordine degli avvocati, casa di reclusione, Arma dei Carabinieri - che in pochi mesi ha risolto un problema che rischiava di generare anche una valanga di ricorsi per richieste di indennizzo in base alla legge Pinto sulla eccessiva durata dei processi. Con l'aspetto importante, poi, di aver ridato dignità ai detenuti. I quali, invece di essere lasciati tutto il giorno senza far nulla in cella, hanno acquisito una professionalità che potranno spendersi una volta terminata l'espiazione della pena.