«Parliamo di non - luoghi, dove i diritti fondamentali sono sospesi in un limbo di repressione e disinformazione e la cui gestione affidata a privati, li rende veri e propri buchi neri e che per questo devono essere chiusi». Così la deputata del gruppo misto Doriana Sarli e la senatrice del gruppo misto Paola Nugnes, dopo aver visitato venerdì scorso, 17 giugno, il Centro di Permanenza per il Rimpatrio ( Cpr) di Gradisca di Isonzo. Le parlamentari del gruppo misto hanno voluto visitare il centro per rendersi conto di persona cosa succede nella struttura di detenzione amministrativa, un luogo di detenzione in assenza di reato – come spiega la nota delle parlamentari -, dove i cittadini stranieri vengono trattenuti in attesa che sia eseguito il provvedimento di espulsione. Questa denuncia va a coincidere con la relazione annuale del Garante nazionale appena presentata in Parlamento, dove descrive questo intrattenimento come un tempo sospeso, privo di qualsiasi forma di organizzazione e di attività, anche soltanto ricreativa e di spazi a ciò dedicati. Un tempo che si riduce, dunque, a mera attesa del rimpatrio.

I Cpr sono un'emergenza anche dal punto di vista medico-sanitario

«I Cpr sono un’emergenza anche dal punto di vista medico sanitario e vanno chiusi, perché al loro interno non sono rispettate le più elementari misure di igiene e di assistenza». Così prosegue la denuncia della deputata del gruppo misto ManifestA, Doriana Sarli dopo la visita assieme alla senatrice Nugnes, che aggiunge di non aver visto un medico dalle 9.30 alle 17. «Questa, così come tutte le altre situazioni di emergenza – bagni fuori norma, acqua solo bollente, sporcizia e spazi ridotti - è la dimostrazione dell’essere fuori da ogni contesto di civiltà giuridica e di stato di diritto», ha continuato Doriana Sarli. «Che una persona soggetta a una detenzione amministrativa – ha sottolineato la deputata- si ritrovi con meno tutele che in un carcere è inammissibile. Queste strutture sono gestite da privati con logiche solo di profitto ( e in conflitto di interessi) che non hanno nulla a che vedere con un moderno approccio dei fenomeni migratori». La denuncia di Donata Sarli fa il paio con il rapporto sui Cpr della Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili, dove si sottolinea che tra il 2018 e il 2021 sono stati spesi 44 milioni di euro per la gestione da parte di privati di dieci strutture per il rimpatrio: il fatto che si tratti di enti privati è una delle principali condizioni peggiorative per le persone trattenute, sia perché vi è un interesse basato sulla massimizzazione del profitto da parte di questi enti privati, sia perché, come conseguenza, l’attenzione ai bisogni delle persone trattenute è inesistente.

Il Garante nazionale ha sottolineato che il tempo sospeso nei centri è diverso dal tempo “ristretto” in carcere

Il garante nazionale delle persone private della libertà, nella sua relazione annuale, ha affrontato il tema dei Cpr sottolineando che il tempo sospeso nei centri è diverso dal tempo “ristretto” in carcere o in un altro luogo dove la definitezza della misura adottata dovrebbe garantirne anche il limite temporale. «Qui – si legge nella relazione -, al contrario, il limite formale non coincide con il limite esistenziale, perché per una larga parte delle persone ivi trattenute la permanenza si concluderà con un provvedimento che ordina di allontanarsi dal territorio italiano, ma nei fatti aprirà a un’indeterminatezza sociale destinata troppo spesso a sfociare in un nuovo trattenimento in un Cpr». Nel corso dell’anno preso in considerazione dalla relazione risulta che 5147 persone hanno trascorso parte del tempo della loro vita in un Cpr – tra esse 5 donne – ma soltanto 2520, meno della metà, sono state rimpatriate. La relazione del Garante osserva che per le altre persone, le quali soggettivamente hanno vissuto il non- rimpatrio come una nuova opportunità di speranza, quel tempo sospeso è stato semplicemente sottratto alla vita per divenire soltanto simbolo rassicurante per la collettività.

Il tempo trascorso all’interno di un Cpr, in media, e di poco più di 36 giorni

Ma, sempre secondo la descrizione che si apprende nella relazione del Garante, il tempo trascorso all’interno di un Cpr, in media poco più di 36 giorni, è spesso anche tempo disinformato, perché privo di informazioni in relazione tanto alle tempistiche e modalità del rimpatrio, quanto agli stessi diritti di chi vi è trattenuto. Anche il tempo per esercitare il diritto di difesa, per compiere scelte consapevoli e condivise con il difensore, secondo il Garante nazionale, può divenire sospeso: per banali ragioni organizzative e burocratiche che, per esempio, ritardano il contatto per l’udienza di convalida del trattenimento. La previsione della possibilità di reclamo ai Garanti territorialmente nominati e la possibilità del Garante nazionale di formulare Raccomandazioni all’Amministrazione vogliono sanare alcuni aspetti di questa sospensione temporale. Però la relazione sottolinea che non è tuttavia un sistema di facile implementazione: sono stati sottoscritti nell’anno trascorso sei accordi tra Garante nazionale e quelli territoriali proprio per definire una procedura di formulazione del reclamo in piena libertà e al riparo da ogni ipotetica paura di ritorsione, nonché per la gestione stessa di tali reclami. Questo nel quadro della possibile diminuzione di quella sospensione del tempo che può essere foriera anche di grave disagio psicologico personale.

A volte  il trattenimento nei Cpr viene convalidato da un’Autorità non competente

Il tempo sospeso nei Cpr, osserva sempre il Garante tramite la relazione, è anche quel tempo di vita sottratto alla libertà senza alcun fondamento giuridico ogniqualvolta le proroghe del trattenimento non siano supportate da elementi concreti o ancora quando il trattenimento sia convalidato a opera di un’Autorità non competente. Come nei casi, non infrequenti, di illegittima convalida del trattenimento da parte del Giudice di pace, nonostante la presenza di un ricorso che ne determinava la competenza del Tribunale ordinario, ai sensi dell’articolo 31 del Testo unico sull’immigrazione. Talvolta – rivela la relazione annuale - anche relativamente all’illegittimità del decreto di espulsione è stato adito erroneamente il Giudice di pace, come nel caso di minorenni. In taluni casi, infatti, il Giudice, nonostante fosse incompetente, ha rinviato la decisione sull’impugnazione del provvedimento espulsivo in attesa della decisione, ai sensi dell’articolo 31 del testo unico sull’immigrazione, del Tribunale per i minorenni, ma, contestualmente, non ha sospeso l’esecuzione dello stesso provvedimento.

Tutto ciò ha comportato il rimpatrio nonostante spettasse al Tribunale per i minorenni decidere sulla permanenza del soggetto sul territorio nazionale in base ai vincoli familiari. La mancata sospensione dell’esecuzione del provvedimento espulsivo ha vanificato il tempo giuridicamente sospeso ai fini della pronuncia sulla legittimità dello stesso. «Tempo – scrive l’autorità del Garante nazionale nella relazione - che si è, così, trasformato in mera attesa del rimpatrio, anziché nel tempo per garantire l’unità familiare, con l’ulteriore paradossale conseguenza che il Tribunale per i minorenni potrebbe disporre la permanenza sul territorio nazionale della persona ormai rimpatriata». Un esempio, particolarmente significativo perché riguarda un minore. «E il tempo sospeso di un minore – osserva il Garante in conclusione del capitolo relativo ai Cpr - richiama tutti noi a una responsabilità ancora più grave perché si riferisce a quella parte della vita che dovrebbe essere compito di ognuno rendere densa di significati».