L'ex Guardasigilli Alfonso Bonafede, il suo ex sottosegretario Vittorio Ferraresi, la responsabile Giustizia Giulia Sarti sono tra i big che, a causa del vincolo del doppio mandato imposto da Beppe Grillo, non potranno più ricandidarsi alle prossime elezioni politiche del 25 settembre. Il Movimento 5 Stelle, dunque, in un colpo solo perde tre nomi di peso sul terreno della giustizia. Qualche mese fa era stato pure abbandonato dall'attuale sottosegretaria di Via Arenula Anna Macina, trasmigrata nel gruppo Insieme per il Futuro fondato da Luigi Maio. Bonafede, Ferraresi e Sarti, divisi tra la commissione giustizia della Camera e quella Antimafia, in questi anni hanno comunque lasciato un segno, a prescindere dal giudizio che ognuno può esprimere sul merito delle iniziative politiche: pensiamo, in primis, alla legge Spazzacorrotti, quella sulle intercettazioni e quella per il carcere ai grandi evasori. Norme attraverso le quali si è disposta la sospensione del decorso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, si sono introdotte pene più severe per i pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio, sono stati previsti il daspo per i corrotti e per i corruttori, i poliziotti infiltrati nella Pa con il compito di riferire presunti illeciti alla magistratura, l'ampliamento dell'uso del trojan. Ma non dimentichiamo anche la proposta di legge per un "nuovo ergastolo ostativo", nonostante la Consulta lo abbia definito incompatibile con la Costituzione, l'ostruzionismo contro il recepimento della direttiva europea sulla presunzione di innocenza, la mancata attuazione dei decreti attuativi per il potenziamento delle misure alternative al carcere, e adesso i continui attacchi al capo del Dap Carlo Renoldi. Tutto ciò rappresenta un importante patrimonio legislativo e se vogliamo culturale del Movimento 5 Stelle, che per il peso politico assunto negli ultimi governi è riuscito persino a giocare bene la sua partita contro l'attuale ministra Cartabia e il suo stuolo di esperti di diritto, portandola, erroneamente sull'altare del compromesso, a far approvare quel pasticcio che è l'improcedibilità. Adesso chi difenderà questo fortino che da più parti viene bollato come giustizialismo? O altresì populismo penale, descritto dal professore Giovanni Fiandaca come «una accentuata strumentalizzazione politica del diritto penale, e delle sue valenze simboliche, in chiave di rassicurazione collettiva rispettivo a paura e allarmi a loro volta indotti o comunque enfatizzati da campagne politico-mediatiche propense a drammatizzare il rischio-criminalità»? Il Movimento 5 Stelle, per la sua lontananza da una idea liberale di giustizia, può non piacere, ma durante queste ultime legislature ha cresciuto una classe dirigente che ha lavorato per istituzionalizzarsi in una certa misura, ha imparato a muoversi nei Palazzi, su alcuni provvedimenti ha lasciato che la mediazione del Partito democratico smussasse talune spigolature. Insomma, ha cominciato ad apprezzare ed usare le regole del mestiere della politica. A ciò aggiungiamo che sono riusciti ad accreditarsi anche nella magistratura, come portatori di alcune loro istanze: chi non ricorda gli applausi fragorosi riservati a Sarti dall'ultima assemblea dell'Anm quando andò a scagliarsi contro l'attuale riforma del Csm e dell'ordinamento giudiziario, che pur aveva votato, per poi dire che «non era la nostra riforma»? E adesso che succede? Con le new entry si ricomincia tutto daccapo a colpi di slogan e semplificazioni sterili? Proprio a proposito di riforme, a giugno 2023 scadrà il termine per l'elaborazione dei decreti attuativi della riforma del Csm: la nuova truppa pentastellata saprà difendere, per quanto possibile in minoranza, alcune delle promesse fatte alle toghe per modificare certi aspetti della delega? Ipotizzando che i grillini non saranno più al Governo, ci saranno figure capaci di fare un valido ostruzionismo e di capire la portata dei provvedimenti o avremo dilettanti allo sbaraglio selezionati all'ultimo momento? L'onorevole Giulia Sarti vuole rassicurare che questo non accadrà e al Dubbio dice: «Questo patrimonio non si disperderà perché noi tre (Bonafede, Ferraresi, e lei ndr) continueremo comunque a dare una grossa mano anche dall'esterno, dove ci sarà una organizzazione tale per cui tantissimi temi non si potranno perdere proprio perché noi continueremo ad esserci, anche se faremo un altro lavoro. La linea politica è tracciata e su quella gli elettori si riconosceranno, a partire dal contrasto alle mafie e alla corruzione». Dall'interno del Parlamento, il Movimento potrà comunque contare, se si presenteranno e verranno rieletti, sull'attuale presidente della Commissione Giustizia Mario Parantoni, sul suo collega Eugenio Saitta, sull'onorevole Angela Salafia - che ricordiamo essere la co-firmataria della proposta di legge per l'inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dellergastolo -, ma anche su Vittoria Baldino, attuale membro della Commissione Affari costituzionali, dove si dovrebbe giocare la partita aperta dall'Unione della Camere penali sulla separazione delle carriere.