PHOTO
Carlo Nordio
Il tema delle intercettazioni continua ad essere terreno di scontro tra una parte della politica e la magistratura. Abbiamo raccolto il parere di Rossella Marro, presidente di Unicost: «In materia di intercettazioni va sgomberato il campo da un primo equivoco, ossia che in Italia in modo ingiustificato se ne facciano molte di più che in altri Paesi. L'Italia infatti ha purtroppo il primato delle organizzazioni criminali di stampo mafioso (ndrangheta, sacra corona unita, camorra, mafia) ed il contrasto alle organizzazioni criminali, così come a qualunque altra forma di reato associativo, è possibile soprattutto grazie alle intercettazioni. Anche il fenomeno della concussione o corruzione assume contorni allarmanti ed anche in questi casi lo strumento delle intercettazioni è indispensabile». Premesso ciò, Marro prosegue: «Condividiamo pienamente la preoccupazione del ministro per le indebite diffusioni di intercettazioni riguardanti anche aspetti di nessun interesse pubblico che tuttavia stravolgono la vita di persone che fino a prova giudiziaria contraria sono innocenti. La gogna mediatica è un fenomeno da contrastare e, sotto questo profilo, è meritorio mantenere sempre alta l'attenzione». Ma si tratta «di un aspetto diverso che nulla ha a che vedere con la indispensabilità dello strumento investigativo. Sul tema della diffusione peraltro di recente è intervenuta una disciplina molto restrittiva in attuazione di una direttiva della Comunità europea, che ha proprio la finalità di assicurare la riservatezza e la tutela della dignità delle persone coinvolte a vario titolo nelle intercettazioni. Occorre verificare sul campo l'efficacia della nuova normativa». È in ogni caso «ingeneroso» attribuire ai magistrati «la responsabilità della diffusione perché spesso proprio i magistrati "subiscono" le fughe di notizie da altri provocate. Le intercettazioni infatti sono necessariamente nella disponibilità di diverse persone che potrebbero avere interesse ad un eventuale uso strumentale delle stesse». Altre riflessioni ci arrivano da Eugenio Albamonte, segretario di AreaDg, a partire dal sostegno di Nordio alle intercettazioni preventive: «Mi pare chiaramente contraddittorio con la sua reclamata appartenenza culturale di tipo liberale perché, in realtà, esse sono sostanzialmente fuori dal circuito giudiziario. Vengono sì autorizzate dal procuratore generale ma, innanzitutto, non c’è una autorizzazione di un giudice come quelle ordinarie. Poi, soprattutto, la grande differenza tra quelle ordinarie e quelle preventive è che queste ultime rimangono per sempre segrete. Neanche l’interessato, ex post, verrà mai a sapere di essere stato intercettato. E non verrà neanche a sapere che quelle intercettazioni contengono elementi della sua vita privata. Invece oggi, grazie alla legge Orlando, si può ottenere, a posteriori, la distruzione delle intercettazioni non rilevanti per le indagini. Mi sembra singolare che il ministro non colga la differenza tra questi due meccanismi, proprio sul piano delle garanzie». Nordio ha riportato degli esempi di persone, anche magistrati, la cui vita è stata rovinata dalle intercettazioni. «Ma questi episodi fanno parte del secolo scorso», ricorda Albamonte che continua: «Nel frattempo è cambiata la legge. La disciplina Orlando prevede che quelle non rilevanti vengano già controllate e custodite sotto la responsabilità anche disciplinare del procuratore della Repubblica. Quindi non capisco a cosa faccia riferimento Nordio». Per il pubblico ministero, «questo tema, come diversi altri, è trattato dal ministro in modo pretestuoso per solleticare le aspettative di una certa parte della maggioranza politica - mi riferisco a Forza Italia che ne ha sempre fatto un cavallo di battaglia – e di un segmento di opinione pubblica, che teme le intercettazioni». Anche perché, conclude Albamonte, «ho sentito esponenti del Governo sostenere in televisione che le intercettazioni non verranno toccate per i reati di mafia e terrorismo, pedopornografia, prostituzione e tratta di esseri umani. Stringi, stringi a me pare che non si abbia il coraggio di dire chiaramente quale sia l’obiettivo perseguito: eliminare le intercettazioni per i reati di concussione e corruzione». È «importante» invece per Eriberto Rosso, segretario dell’Unione Camere penali, «che si torni a discutere della disciplina delle intercettazioni ed è un bene che il ministro Nordio abbia riconosciuto come il bilanciamento tra poteri di investigazione e diritti fondamentali della persona nel nostro sistema processuale sia pessimo». Rosso ricorda che «nella scorsa Legislatura si è mandata al macero la riforma Orlando, che pure qualche freno alle intercettazioni e alla loro divulgazione aveva previsto, e si è adottata una disciplina ben poco garantista che prevede il sostanziale via libera all’uso del trojan». Infine «è utile ricordare a coloro che ancora oggi – sempre con il solito refrain della lotta alla criminalità organizzata – paventano l’impunità per i criminali che, con la legge n. 7 del 2020 e con la foglia di fico di due aggettivi, si sono in un sol colpo superati gli stessi limiti che la Corte di Cassazione aveva individuato prima con le Sezioni Unite Scurato e poi con la sentenza Cavallo. La fotografia dell’oggi sono i fenomeni della cosiddetta “pesca a strascico” per la ricerca del reato e non della prova». Mettere mano alle intercettazioni «servirà finalmente a ribadire che le comunicazioni tra difensore e indagato non debbono essere non solo utilizzate ma neppure ascoltate».