Stop all’attuale antimafia e alla rincorsa a nuove norme. Altrimenti il sistema non funziona. Volendo fare un bilancio degli “Stati generali della lotta alle mafie” voluti dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, il giudizio delle toghe sull’attività di contrasto alla criminalità organizzata è alquanto negativo e, sempre secondo i magistrati, l’Italia sarebbe un Paese più vicino alle realtà delinquenziali sudamericane che a quelle europee. Lo scenario, per molti versi inquietante, è emerso durante la tavola rotonda con i procuratori di venerdì scorso, a suggello della due giorni di Milano che ha concluso l’iniziativa. Ospiti d’onore i pm più noti d’Italia: il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, di Milano Francesco Greco, di Napoli Giovanni Melillo e di Roma Giuseppe Pignatone. Un parterre di prestigio che ha però annichilito tutti gli intervenuti, sollevando dubbi sulla reale efficacia delle strategie di contrasto, legislative e non, poste in essere dallo Stato in questi decenni.

L’ITALIA COME GOTHAM CITY, SECONDO I PROCURATORI CAPO

«Dobbiamo interrogarci sul fatto che, nonostante le leggi approvate e le tante risorse investite, il fenomeno mafioso non è stato sconfitto», ha detto Scarpinato. Anzi, «attualmente il numero delle denunce per il reato di estorsione è lo stesso del 1991» e «pur arrestando 200 mafiosi, in poco tempo altri 200 sono pronti a prenderne il posto». La mafia esiste da prima dell’Unità d’Italia ed è ogni anno sempre più forte, ha affermato Gratteri. «Il voto di scambio c’è sempre stato. Nel 1869, dopo le prime elezioni a Reggio Calabria, i potenti dell’epoca ringraziarono i picciotti per il sostegno avuto», ha aggiunto.Su come contrastare le mafie, le ricette dei magistrati sono varie e per certi aspetti in contrasto con gli indirizzi del governo. Nessuna Superprocura europea antimafia e antiterrorismo su cui insiste non solo Orlando ma anche il ministro dell’Interno Marco Minniti. Secondo Gratteri sarebbe una sciagura, in quanto l’Italia «conta molto poco a livello internazionale» ed in Europa ci sono sensibilità diverse. Anche rispetto all’opportunità di modificare le leggi attuali, i pareri divergono. Se il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Giovanni Legnini ha sottolineato la necessità di fare «un tagliando all’articolo 416 bis del codice penale, preservandone il cuore, ma intervenendo per estenderne la portata», Pignatone ha supplicato il Parlamento di non toccarlo e di non fare «ulteriori leggi in materia di mafia».

DA GRATTERI AUTOCRITICHE E UN’ANATEMA: «TROPPI TRIBUNALI!»

Critiche sull’organizzazione degli uffici di Procura da parte di Greco: «Gran parte delle Procure sono organizzate in maniera piramidale e feudataria. Negli uffici vi è la monade della Direzione distrettuale antimafia, rigidamente separata dagli altri dipartimenti perché così è stata concepita ed elaborata: gli uffici inquirenti, invece, devono essere in rete e la Dda deve interloquire con tutto il resto». E ancora critiche alla geografia giudiziaria. Ancora Gratteri sostiene sia fondamentale un «Tribunale specializzato distrettuale per l’antimafia». Inoltre «è necessario che il prossimo Parlamento abbia una maggioranza più forte per chiudere più Corti di appello e Tribunali che non servono, e in cui i magistrati non hanno fascicoli da trattare». Una visione liquidatoria che sembra in contrasto con l’idea di un Paese attento a non desertificare le periferie. Ma il procuratore di Catanzaro è drastico su qualsiasi tema. La sua vera ricetta antimafia consiste in «meno sconti ai detenuti per mafia e una stretta sui tribunali di sorveglianza». Più “sociale” l’approccio di Scarpinato, convinto che «c’è bisogno di un piano Marshall per il Sud, in particolare per la Sicilia, una delle regioni più povere d’Europa e per questo terreno fertile per le mafie». Giovanni Melillo ha una visione più analitica, e ritiene invece si debba insistere sulla «organizzazione delle Procure». Un mea culpa è venuto da Gratteri: «Non è vero che la gente è omertosa, la gente non sa con chi parlare, perché noi non siamo credibili, dobbiamo essere più coerenti tra quello che diciamo e che facciamo: se la gente non denuncia evidentemente c’è qualcosa che non funziona».

LA CARTA DI MILANO, IL DOCUMENTO FINALE DI ORLANDO

Messaggio subito recepito da Orlando, che ha chiuso la manifestazione alla presenza del Capo dello Stato. Nella Carta di Milano, il documento conclusivo, «ci saranno tutte le misure, prevalentemente non penali, di interventi di contrasto alla mafia: la mafia si contrasta facendo funzionare bene i servizi, con una pubblica amministrazione trasparente, costruendo uno Stato sociale e facendo in modo che la giustizia abbia gli strumenti organizzativi adeguati. Non più nuove norme», ha concluso, «perché oggi la magistratura ci ha detto che quelle esistenti sono adeguate».