Ordinaria amministrazione e nulla più. Si limita a questo l’attività delle Commissioni straordinarie che reggono i Comuni sui quali si è abbattuta la mannaia dello scioglimento per infiltrazioni mafiose. Una certezza che adesso viene cristallizzata anche dalla Commissione antimafia, che mette nero su bianco nella sua relazione annuale i limiti di uno strumento pensato per “bonificare” gli enti sui quali si allunga la mano dei clan. Il presidente Nicola Morra lo aveva anticipato nei giorni scorsi, ammettendo il flop delle gestioni commissariali più volte denunciato dai media. Uno strumento a lungo ritenuto essenziale - e tuttora visto come tale -, ma che necessita di una seria revisione. Perché il rischio è quello di condurre i Comuni ad una morte lenta, col paradossale risultato di aumentare non solo il potere delle mafie sul territorio, ma addirittura il loro appeal. «Dall’analisi compiuta è emerso che le gestioni commissariali non prestano la dovuta attenzione o, comunque, non riescono ad affrontare in maniera adeguata gli aspetti della trasparenza e della prevenzione della corruzione - si legge nella relazione -, che appaiono invece essenziali per consentire un graduale ritorno verso la legalità dei Comuni» affidati alla guida commissariale. Dall’agosto del 1991 al 30 novembre del 2021 sono state 364 le amministrazioni sciolte per infiltrazione mafiosa, tra le quali sette aziende sanitarie. Il fenomeno riguarda principalmente Calabria, Campania, Sicilia e Puglia, ma coinvolge, pur se in misura inferiore, anche l’Italia settentrionale. Nel 2021 sono stati 11 i nuovi decreti di scioglimento, per un totale di 53 Comuni commissariati. Ma secondo la Commissione antimafia sono diversi gli aspetti deludenti: risultano, infatti, «alquanto trascurati dalle gestioni commissariali - e ciò nonostante fossero state stigmatizzate in parecchi decreti di scioglimento - le omissioni e carenze delle cessate amministrazioni». In particolare sono emerse «gravi carenze» in merito alla gestione della sezione trasparenza dei portali istituzionali. Viene spesso disatteso, inoltre, l’obbligo di pubblicazione dell’elenco dei beni confiscati alla mafia e, cosa ancor più grave, spesso è il ciclo di programmazione dei bilanci a non essere rispettato. Elementi, questi, che avrebbero fatto passare guai seri ad amministratori “politici” eletti dal popolo, ma non ai commissari prefettizi, nonostante «la mancanza di attendibilità, correttezza, congruità e coerenza dei bilanci non consente, di conseguenza, ai Revisori dei conti e alla Corte di Conti, ciascuno per la parte di propria competenza, di effettuare i dovuti controlli», sottolinea la Commissione. Mancano, inoltre, segnalazioni relative a fenomeni corruttivi, carenza che riguarda il 78% delle relazioni esaminate, così come segnalazioni circa i procedimenti disciplinari nei confronti del personale per fatti penalmente rilevanti e di illecito da parte di dipendenti (cosiddetti whistleblowing).La conclusione è tranchant: «Le molteplici previsioni normative e le misure apprestate dall’ordinamento per prevenire i fenomeni corruttivi, e prime fra queste quelle volte ad assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa, sono ampiamente trascurate se non addirittura obliterate, non soltanto prima dello scioglimento ma anche successivamente nel corso del periodo di gestione straordinaria», si legge nella relazione. Una carenza inaccettabile, secondo la Commissione, che riflette sulla possibilità di attribuire un potere di controllo sull'operato del Responsabile per la prevenzione della corruzione e per la trasparenza ad un organismo la cui nomina non sia riconducibile all'organo di indirizzo politico dell'ente. Ma servono anche, per lo stesso Responsabile, risorse economiche, personale e strumentali ( e tra queste un’opportuna informatizzazione), oltre che una adeguata formazione, per svolgere il proprio compito. «È palese, infatti, come in mancanza dei mezzi necessari per il funzionamento di un sistema, la predisposizione del medesimo e la previsione al suo interno di funzioni e compiti rimane una mera manifestazione di intenti che non potrà mai condurre al raggiungimento degli obiettivi prefissati», afferma ancora la Commissione. In Commissione Affari costituzionali alla Camera pende una proposta di legge della deputata dem Enza Bruno Bossio per modificare la norma attuale. Proposta che mira non solo a «prevedere una valutazione più stringente degli atti amministrativi sul piano della conformità formale ai princìpi di efficienza, efficacia, speditezza ed economicità», ma anche a «valutare la sfera di incidenza concreta dell'atto all'interno della comunità, del tessuto sociale e dei soggetti destinatari o beneficiari». Bruno Bossio propone di introdurre un commissariamento «limitato all'area gestionale- tecnica» interessata da forme di condizionamento, «da realizzare mediante la nomina di un commissario straordinario con le funzioni del direttore generale e con poteri di avocazione delle funzioni gestionali, amministrative e finanziarie dei servizi interessati». Ma c’è di più: non è possibile, sostiene la dem, affidarsi all’esame «unilaterale» della prefettura «senza acquisire, in sede istruttoria, sotto forma di osservazioni, le valutazioni del rappresentante legale dell'ente locale». Insomma, deve essere garantito un contraddittorio, tant’è che la proposta prevede la facoltà del sindaco «di produrre una memoria, che diventa atto integrante del procedimento, nella quale formulare eventuali controdeduzioni». La consapevolezza che il provvedimento di scioglimento rappresenta «un evento traumatico per l'intero sistema democratico - conclude la deputata dem - impone un'attenzione costante nell'adozione e nel perfezionamento di strumenti che pongano al riparo il principio della rappresentanza democratica e il primario interesse delle stesse comunità amministrate di essere tutelate dai rischi di infiltrazione e condizionamento mafioso». E forse ora è chiaro a tutti.