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Prima l’ordinanza, poi l’udienza. Prima decidiamo: poi, se volete, vi facciamo pure parlare. Così, tanto per darvi soddisfazione. Sembra la scena di una corte seicentesca, ai limiti del premoderno. Invece è successo nella dotta Bologna, a un avvocato che difendeva uno straniero accusato di furto, e nel Tribunale presieduto da Francesco Caruso, il magistrato che collocò i sostenitori del sì al referendum «inesorabilmente dalla parte sbagliata, come chi nel ’ 43 scelse male, pur in buona fede». Ed è successo precisamente che il 28 novembre scorso un collegio del Riesame presso il tribunale distrettuale di Bologna abbia notificato al difensore un’ordinanza su una misura cautelare il giorno prima dell’udienza. Ebbene sì, il giorno prima: quando cioè il collegio non si era ancora riunito e neppure il pm non si era presentato a spiegare le ragioni del suo ricorso, cioè il motivo per cui riteneva di doversi opporre all’ordinanza del gip.
Il quale giudice per le indagini preliminari aveva deciso di respingere la richiesta di custodia cautelare nei confronti di uno straniero accusato di furto all’aeroporto del capoluogo emiliano. E ancora, quella notifica al difensore è stata trasmessa quando lui, il difensore stesso, ovviamente non aveva ancora varcato la porta dell’aula né aveva esposto al collegio del Riesame le osservazioni in base alle quali riteneva infondato il ricorso del pm.
Il caso è deflagrato la settimana scorsa, grazie alla segnalazione della Camera penale di Bologna. Che ne ha fatto un esposto indirizzato al ministro della Giustizia, al procuratore generale presso la Corte di Cassazione, al Csm, al procuratore generale di Bologna e al presidente del Tribunale, il dottor Francesco Caruso appunto. «Il Tribunale», si legge nel documento dei penalisti, «fissava l’udienza di discussione in camera di consiglio dandone avviso al difensore.
Lo stesso difensore riceveva a mezzo di posta certificata, il giorno precedente l’udienza fissata, notifica del provvedimento decisorio con apposte in calce le firme del giudice relatore e del presidente del Collegio, e con sigla in ognuna delle pagine da parte del giudice relatore». Particolare decisivo, questo, e oggettivamente sconcertante. «La decisione era, peraltro, di contenuto infausto per l’indagato e totalmente recettiva della richiesta formulata dalla Procura». Perché appunto il Riesame ha ribaltato la decisione del gip e, in accoglimento del ricorso avanzato dalla Procura, ha ordinato l’applicazione della misura cautelare, seppure sospesa in vista di un possibile ricorso in Cassazione da parte dell’indagato.
Inspiegabile, tanto che verrebbe da pensare a un atto di deliberata negazione del principio di oralità nel contraddittorio: i magistrati del collegio hanno deciso senza sentire le osservazioni dell’avvocato, il che è esattamente il contrario di quanto dovrebbe avvenire con un rito accusatorio qual è quello previsto dal codice.
In udienza naturalmente l’avvocato ha fatto notare che la sua stessa presenza davanti al collegio rischiava di equivalere a una finzione teatrale più che costituire un passaggio formalmente rilevante. A quel punto i giudici, colti da un comprensibile imbarazzo, hanno chiesto di potersi astenere. Il presidente Caruso ha accolto la richiesta, affidato il fascicolo a un altro collegio, che ha fissato una nuova udienza in camera di consiglio. Esito uguale, e qui siamo a una settimana fa: accoglimento del ricorso della Procura, ordinanza di custodia cautelare sospesa in attesa dell’eventuale ricorso in Cassazione. La motivazione, invece, era diversa. Se non altro, a differenza della prima - quella notificata magicamente senza che neppure l’udienza avesse avuto luogo deve aver tenuto conto delle osservazioni dell’avvocato.
La Camera penale “Franco Bricola” di Bologna «ribadisce come i principi basilari del sistema processuale penale non possano essere aggirati con macroscopiche violazioni del diritto di difesa, ignorando il principio dell’oralità, del contraddittorio e della collegialità delle decisioni necessari, a maggior ragione, in fase cautelare'. Lo si legge nell’esposto inviato a pg di Cassazione, Csm e vertici della magistratura bolognese e del quale i penalisti hanno informato tutte le Camere penali del distretto, l’Ucpi e il Consiglio dell’Ordine. La sezione emiliana dell’Anm ha di fatto minimizzato: «Non c’è alcun elemento che possa mettere in dubbio la buonafede dei magistrati coinvolti». E si aggiunge che il diritto di difesa «in concreto» non avrebbe subìto «né danni né limitazioni» . La versione filtrata informalmente dal Tribunale è che quella notificata non era altro che una specie di brutta copia, di bozza buttata giù in attesa della decisione da prendere il giorno dopo. Peccato che fosse firmata in calce da presidente del collegio e relatore. E notificata via pec. Avrà sbagliato il cancelliere? Può darsi. Sarà un parossistico effetto dei carichi di lavoro pesantissimi a cui anche il Riesame deve far fronte? Indubitabile. Fatto sta che la decisione era già stata presa. E l’avvocato, la mattina dopo, sarebbe andato lì a esporre le ragioni dell’indagato inutilmente. Sarà il Csm a stabilire se si tratta della negazione di un diritto - dunque di un illecito - oppure no. Certo è che non si tratta di una best practice meritevole di segnalazione da parte dell’organo di autogoverno dei magistrati.