Renato Schifani si dimette da capogruppo di Ncd per ragioni politiche generali, ma non è un caso che la deflagrazione tra i centristi si produca nel d-day delle leggi sulla giustizia. La materia è così incandescente da non potersi maneggiare senza farsi male. Si inceppa dunque definitivamente la trattativa sulla prescrizione e la legge sulla tortura va in freezer.La rottura tra gli alfaniani paralizza dunque la maggioranza. Sulla prescrizione, la fumata nera arriva in tarda mattinata, alla riunione che si chiude senza un accordo tra Pd e Ncd, rappresentato dal solo presidente della commissione Giustizia Nico D’Ascola. Nel caso del ddl che introduce il reato di tortura è una capigruppo del Senato a decidere la sospensione dell’esame in Aula. Un passo grave, reso inevitabile dalla spaccatura tra gli alfaniani. La misura non piace ai senatori di Area popolare né al loro leader, il ministro dell’Interno: solo che tra i primi, molti non condividono l’idea di un via libera di Palazzo Madama al provvedimento con successive modifiche alla Camera. Il rischio di un voto contrario di Schifani e di altri costringe la maggioranza alla resa. Niente voto sulla tortura, dunque, e neppure ritorno del testo in commissione. È un congelamento senza condizioni, che si consuma tra le grida indignate dei cinquestelle. E con la rassegnazione del capogruppo dem Luigi Zanda, che ammette: «Faremo di tutto per approvare la legge prima della pausa estiva, ma ci vuole una maggioranza larga». Che non c’è.L’addio di Schifani alla presidenza del gruppo di Area popolare (che riunisce Ncd con altri senatori moderati) arriva mentre si diffonde la fumata nera sulla prescrizione. Al vertice di mezzogiorno partecipano il guardasigilli Andrea Orlando, Zanda, i relatori Casson e Cucca, il capodelegazione dem sulla Giustizia Beppe Lumia e appunto D’Ascola, presidente della commissione. Sulle spalle dell’avvocato di Reggio Calabria precipita d’improvviso anche la delega a trattare per conto del partito. Non si trova l’accordo e si va all’esame in commissione senza rete. Passano i primi cinque articoli del ddl sul processo penale, che non toccano però il punto chiave dei termini di estinzione dei reati. Ma l’orizzonte del provvedimento è avvolto nell’incertezza. Il ministro Orlando si dice fiducioso che un’intesa sia «a portata di mano». Ma senza un accordo definitivo il rischio che i centristi non votino la riforma è altissimo.Ncd troppo diviso per trattare col PdNcd dovrebbe arginare gli eccessi della sinistra dem sulla durata dei processi per corruzione. Ma è un fronte difficile da tenere, con un partito come quello di Alfano, spaccato sulle prospettive future. E l’addio di Schifani è come se certificasse questa debolezza: di fronte alla trattativa più difficile, quella sulla giustizia, emergono i limiti dell’Ncd, troppo diviso al proprio interno per essere contrappeso nella maggioranza. Dal vertice sulla prescrizione filtrano voci di un doppio rinvio: si discute a ottobre sulla riforma del processo e si torna in commissione sul ddl odiato dalle forze di polizia. Seguono rapide smentite, eppure la sostanza dei fatti non è lontana dall’idea della resa incondizionata: senza un accordo in commissione sui tempi del processo sarà inevitabile un congelamento di tutta la riforma penale, e con i centristi a pezzi votare il ddl sulla tortura è impossibile. Il risultato è appunto la paralisi.Gli aggiustamenti sulla prescrizioneSui tempi per estinguere i reati di corruzione, Ncd potrebbe accettare un aumento superiore a un terzo, probabilmente della metà, ma che almeno scatti solo su uno dei due articoli del codice di procedura penale chiamati in causa, il 161. Così un processo per corruzione propria arriverebbe a 18 anni, contro i 21 e 9 mesi del lodo Ferranti. Netto no del Pd alla norma che rimette nel calcolo i 18 mesi di sospensione previsti dopo la condanna in primo grado, qualora la sentenza d’appello si faccia attendere più di un anno e mezzo. In compenso potrebbe essere eliminata la sospensione dei termini sulle perizie, con un aggiustamento anche su quella per le rogatorie.Sul reato di tortura sono invece le opposizioni, Forza Italia in testa, a chiedere di riunire la capigruppo. Ed è lì che si certifica il disarmo centrista: alla proposta firmata da Gasparri si accoda proprio il vicecapogruppo vicario di Area popolare, Luigi Marino (ex presidente di Confcoop). Sostituisce il dimissionario Schifani e di fatto decide di congelare la partita sine die. Zanda si infuria ma può solo rassegnarsi al dato di fatto. E a una maggioranza che, almeno sulla giustizia, già non c’è più.