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Due lauree e un Master in carcere, ma per i giudici è ancora pericoloso
Su un punto convengono tutti. Nel carcere di Bari, il detenuto Antonio Presta, calabrese di nascita, non sarebbe curato adeguatamente. Il caso nasce da un’istanza di modifica della custodia cautelare, avanzata di recente dagli avvocati Lucio Esbardo e Franco Locco del foro di Cosenza, secondo cui il loro assistito, originario di Roggiano Gravina, non riceverebbe le giuste terapie rispetto alle patologie presenti. Una questione affrontata nell’ultima udienza svoltasi dinanzi al tribunale collegiale di Cosenza, nell’ambito del processo contro una presunta associazione a delinquere dedita al narcotraffico, operante nella zona della Valle dell’Esaro, in provincia di Cosenza. Secondo la Dda di Catanzaro, Antonio Presta, insieme al fratello Roberto, divenuto a distanza di mesi da blitz collaboratore di giustizia, sarebbe il promotore e l’organizzatore. Ma ora il punto non è questo. La vicenda, secondo il pm Alessandro Riello, dovrebbe essere discussa e verificata con il Dipartimento Amministrativo Penitenziario. Gli avvocati, tuttavia, ritengono che ciò non basti a risolvere il problema, visto che questa situazione andrebbe avanti ormai da mesi. Ed è per questo motivo che avevano chiesto gli arresti domiciliari. Una richiesta non accolta dal presidente del collegio giudicante Carmen Ciarcia, il quale, però, ha evidenziato la mancanza di chiarezza da parte dell’istituto penitenziario di Bari, sollecitandolo a stilare una relazione accurata. «La vicenda in esame trae origine, per la parte di interesse, in una richiesta di relazione sulle condizioni di salute dell’imputato, con prescrizione di assegnazione al cosiddetto SAI (servizio di assistenza intensiva) formulata dal tribunale del Riesame di Catanzaro nel corso di un procedimento de libertate davanti a quel giudice celebrato», si legge nel provvedimento. «Relativamente all’attuazione della misura, non veniva dato, malgrado sollecitazione ripetuta dal Collegio, alcun riscontro da parte della struttura penitenziaria-sanitaria, pure espressamente invitata a predisporre relazione sulle condizioni di salute del detenuto e sulle terapie dallo stesso seguite». «In tale contesto – afferma il tribunale collegiale di Cosenza – si inserisce la richiesta della difesa che, sulla base di una relazione del consulente di parte, deducendo la grave situazione di decadimento delle condizioni di salute dell’imputato, richiede la sostituzione della misura sul presupposto della mancanza di cura e terapia da parte dell’autorità carceraria». L’istanza non è stata accolta «in quanto non si fonda sull’incompatibilità del regime carcerario con le suddette condizioni di salute, ma sulla concreta mancata sottoposizione a terapie e cure del giudicabile». E ancora: «Per altro verso – scrivono i giudici cosentini – viene in rilievo la segnalazione che riguarda il bene primario della salute, tutelato dall’art. 32 della Costituzione, asseritamente pregiudicato dalle inadempienze della struttura carceraria. Conseguentemente, deve essere ulteriormente sollecitata la direzione della Casa Circondariale a riferire sulle condizioni di salute di Presta e sulle terapie alle quali il detenuto è stato ed è sottoposto». Infine, evidenzia il tribunale di Cosenza, «risulta necessario, altresì, coinvolgere il provveditorato Regionale agli Affari penitenziari della Puglia, affinché assegni, senza indugio, il detenuto Antonio Presta a struttura idonea a seguire le indicazioni terapeutiche e di cure necessarie alla tutela della sua salute, e solleciti la Direzione della Casa circondariale d Bari a predisporre la relazione già più volte richiesta». Insomma, giudici, pm e avvocati chiedono l’intervento del Dap.