Sembra il punto di non ritorno. Il caso delle minacce a Luigi Buono, il giudice della sentenza sulla strage del bus, non è il primo del genere, ma per la magistratura rappresenta il segno di un allarme non più tollerabile: così con un’iniziativa che non ha precedenti per ampiezza di significato ieri 11 togati del Csm ( tutti i gruppi tranne Mi) hanno chiesto al comitato di presidenza di Palazzo dei Marescialli l’apertura di una pratica a tutela dell’intera magistratura. Nel documento letto ieri in plenum viene citato naturalmente il caso del giudice monocratico di Avellino, oggetto, venerdì scorso, di «insulti e minacce» subito dopo la lettura del dispositivo sulla strage del viadotto. Si richiamano altre vicende come quelle del processo per Rigopiano e delle assoluzioni pronunciate dal Tribunale di Lucca nei confronti dei contestatori di Salvini. E ancora, si ricorda un altro «attacco alla giurisdizione» quale quello rivolto ai giudici di Monza sul caso dell’imprenditore Sergio Bramini. Ma si tratta di esempi, non delle sole specifiche circostanze sulle quali i consiglieri intendono richiamare l’attenzione. Si tratta solo dei più recenti di «una lunga serie di episodi che compromettono l’indipendente esercizio della funzione giurisdizionale, che la magistratura deve esercitare nel solo rispetto della legge».

Il senso è dunque alzare un argine non valicabile rispetto alle aggressioni verbali ( per ora) che incombono su ogni giudice orientato ad assolvere, o anche a emettere un’ordinanza cautelare meno restrittiva di quanto l’opinione pubblica si aspetti. A proposito della seconda variabile, basti pensare al gip di Reggio Emilia Giovanni Ghini, contro il quale nell’agosto 2017 fu organizzato addirittura una corteo solo perché aveva osato prevedere una misura attenuata rispetto all’arresto chiesto dai pm per uno straniero accusato, e reo confesso, di abusi sessuali.

Viene al pettine il vero nodo della giustizia ridotta a giustizialismo. Il pericolo che la scure dell’intransigenza manettara, spietata fino a qualche anno fa solo con indagati e imputati, finisca per condizionare gli stessi magistrati. Tanto da metterli nella condizione di vivere l’esercizio delle funzioni come un atto temerario. Ed è importante che nel segnalare il livello di gravità raggiunto dalla situazione, i togati facciano riferimento a due cardini dell’ordinamento: come spiega in plenum la consigliera di Area Alessandra Dal Moro, alla quale i colleghi affidano la lettura della richiesta, ad essere messi in discussione sono «valori fondanti dello Stato di diritto, quali il principio di non colpevolezza degli imputati e il diritto di difesa nel processo penale». Richiamo non casuale, quello al pericolo di compromettere il diritto alla difesa in giudizio. Sia perché conferma l’ormai consolidata sintonia, sul tema, fra magistratura e avvocatura, sia perché le aggressioni sui social e i proiettili recapitati negli ultimi anni ai legali di diversi imputati costituiscono l’altra faccia dell’emergenza denunciata ieri al Csm.

Dal Moro espone considerazioni condivise, come detto, dagli altri 3 togati di Area, dai 5 consiglieri di Unicost, a cominciare dal capogruppo Luigi Spina, e dai due rappresentanti di Autonomia & Indipendenza Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita. Non c’è Magistratura indipendente. Scelta legata alla linea che il gruppo associativo si è data rispetto alla dialettica tra toghe e forze politiche: nel documento sottoscritto da tutti gli altri consiglieri magistrati c’è anche un richiamo al fatto che «gli insulti e le minacce» rivolte al giudice monocratico di Avellino erano state «amplificate mediaticamente dalle reazioni successive», riferimento alle dichiarazioni di diversi esponenti politici diffuse subito dopo le contestazioni al giudice, in particolare da Luigi Di Maio. Il vicepremier aveva detto di capire «il grido di dolore delle famiglie delle vittime dopo l’assoluzione dell’ad di Autostrade Castellucci». Vero è che nel seguito del suo post di venerdì scorso Di Maio aveva aggiunto che il suo non era «un attacco ai giudici». Ed è anche vero che, nella richiesta di pratica a tutela presentata ieri, l’attenzione è per gli umori della piazza prima ancora che per le reazioni dei politici. Il pericolo viene da «comportamenti», generalmente intesi, «lesivi del prestigio e dell’indipendente esercizio della giurisdizione» tali da «determinare un turbamento al regolare svolgimento o alla credibilità della funzione giudiziaria».

La pratica, che verrebbe assegnata alla prima commissione presieduta dal laico Alessio Lanzi, potrebbe tradursi in una delibera del Csm a tutela di tutti i magistrati. Ma al di là delle conseguenze formali, l’iniziativa sollecitata ieri in plenum annuncia una presa di posizione netta delle toghe, che può trasformarsi in una mobilitazione permanente con possibili richieste di interventi del legislatore. Una svolta, se si considera la funzione che per anni, in modo distorto, il fronte giustizialista ha attribuito a giudici e pm. Quell’aspettativa patologica si rivela ora un pericolo per la tenuta dell’intero ordinamento giudiziario e dello Stato di diritto, come tante voci annunciavano da tempo pur senza sommarsi in una presa di posizione istituzionale ampia come quella di ieri.