Giovanni Brusca è ufficialmente un uomo libero. Il boss mafioso di San Giuseppe Jato, tra i principali esecutori della strage di Capaci del 23 maggio 1992, ha concluso il percorso detentivo durato 25 anni, compresi gli ultimi quattro in libertà vigilata, concessagli nel 2021. È decaduta anche la sorveglianza speciale e l’obbligo di dimora nel comune segreto dove aveva vissuto, sotto protezione, negli ultimi anni.

Brusca, 68 anni, fu l'uomo che azionò il telecomando che fece esplodere il tritolo sotto l’autostrada Palermo-Capaci, causando la morte del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti di scorta Montinaro, Dicillo e Schifani. Dopo l’arresto nel 1996, decise di collaborare con la giustizia: il pentimento gli valse un significativo sconto di pena, passando dall’ergastolo a 26 anni.

Ma il suo nome è indelebilmente legato anche a uno dei crimini più atroci della storia di Cosa Nostra: il sequestro e l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo. Il bambino fu rapito a 12 anni da un commando travestito da poliziotti, tenuto in ostaggio per 25 mesi e infine strangolato e sciolto nell’acido l’11 gennaio 1996, come ritorsione per le dichiarazioni rese dal padre.

Brusca ordinò personalmente quel sequestro. Il racconto dell’orrore è contenuto nei verbali di altri collaboratori, come Gaspare Spatuzza, che partecipò al rapimento e che ha dichiarato: «Agli occhi del ragazzo siamo apparsi come angeli, ma eravamo lupi». A dare materialmente la morte al bambino furono Enzo Brusca, Vincenzo Chiodo e Giuseppe Monticciolo. Il piccolo fu prima strangolato, poi il suo corpo fu distrutto nell’acido nitrico, perché la famiglia non potesse neanche piangere i suoi resti.